PREMESSA
Il
titolo del libro pone tre domande. Domande prive di risposte certe.
Occorre
chiedersi innanzi tutto, di quale crisi stiamo parlando, della sua natura e delle
sue cause, per intuirne i possibili sbocchi e, di conseguenza, cosa si può
farci in merito. Io credo che questo dipenda da tutti quelli che,
ingiustamente, ne pagano i costi. Da noi quindi.
La crisi economico-finanziaria, purtroppo,
è solo un aspetto del problema, che l’umanità si trova di fronte, perché non
siamo in una delle “solite crisi”, come in passato.
Non è “soltanto” una crisi economica,
non è “soltanto” una crisi energetica, non soltanto”una crisi demografica, non ”soltanto”una
crisi climatica, ambientale, ecologica, non ”soltanto”una crisi dell’acqua, non
“soltanto”una crisi dei rifiuti, compresi quelli nucleari, non ”soltanto una
crisi, dovuta all’entità finita delle materie prime, non rinnovabili.
Il
perché fondamentale risiede nel fatto che tutte queste crisi sono connesse,
siamo di fronte ad una crisi polisistemica.
La
crisi economica va valutata nell’ambito della crisi polisistemica, di cui fa
parte, per superare la quale, purtroppo non vi sono risposte adeguate, alla
complessità dei problemi connessi. Non ne abbiamo le competenze, la capacità
culturale, per cui, sarà meglio rivedere i nostri stili di vita e di consumo oltre
che, ovviamente, i modelli di “sviluppo” attuali.
Ha
senso allora parlare e riproporre uno “sviluppo”, così come lo hanno inteso
fino ad oggi, o addirittura infinito, come lo intendono i potenti?
Non
ha senso, è una follia suicida, una chimera.
Certo,
si può sempre sperare in nuove scoperte scientifiche che consentano di
affrontare e forse superare i limiti attuali, ad esempio nel campo energetico,
perché la scienza non ha limiti e il progresso scientifico è infinito, ma non
possiamo dimenticarci che lo sviluppo tecnologico lo controllano i potenti, per
i loro scopi di potere e di profitto, compresa una loro possibile sopravvivenza
, in caso di catastrofe.
Questo
non significa avere come orizzonte il passato, perché ci ha portato a questo
punto o tornare all’età della pietra. Indietro non si torna, non si può
tornare. Occorre pensare ad un modo diverso di vivere, in una società diversa,
solidale, di convivenza tra i popoli e compatibile con la Natura.
Se
è così, possiamo parlare ancora “soltanto” di crisi? <<Crisi>>
mantiene ancora una connotazione positiva. Può indicare una situazione
possibile di superamento. Viceversa c’è la sensazione che non sia più così, che
siamo giunti ad una svolta, ad una fase di transizione, dagli sbocchi
imprevedibili, perché le “crisi” che viviamo, nel loro insieme, se le cose non
cambiano profondamente, assomigliano più a una possibile catastrofe imminente,
che a una crisi.
Per
cui è inevitabile, doveroso, mettere in conto, oltre alle conseguenze attuali, visibili,
anche quelle ignorate dai mass media, quali quelle di un futuro non molto
lontano,che hanno fatto nascere tanti Perché? Tra i quali quelli
inquietanti del rischio di una guerra globale, non più solo finanziaria ed
economica,su scala planetaria. E questo si,significherebbe farci tornare
all’età della pietra. Se non li fermeremo.
Già
l’attuale Papa Francesco,ha paventato il rischio di un conflitto mondiale ,
qualora le potenze occidentali avessero bombardato la Siria. Un monito da
prendere molto seriamente, perché è evidente che l’Iraq ieri, la Siria oggi e
l’Iran domani, sono solo dei casus belli, nella crisi polisistemica, per il
controllo geostrategico del petrolio del Golfo Persico. Mentre l’inizio di enduring
freedom in Afganistan, la permanenza, dopo oltre 10 anni, della Nato oggi,
e di basi americane domani, si spiega, più che con l’obiettivo di uccidere
Osama Bin Laden e abbattere il regime dei Taliban, con i quali oggi si tratta, per l’interesse geopolitico di quest’area,
multietnica, strategica per molteplici ragioni, quali ad esempio quelle per il controllo
delle vie del petrolio e
del gas del Mar Caspio; per la produzione di
oppio e, last but not least, come avamposto militare americano ai confini della
Cina, del Pakistan musulmano, di Paesi dell’ex blocco sovietico e per l’intero
Sud est asiatico.
E’
già in atto, la lotta, la guerra per ora a suon di dollari, tra le nazioni più
potenti, per il controllo e l’accaparramento delle principali materie
prime, in Africa, sotto l’Artico, in America Latina, perché tutte le materie
prime sono in entità finite ed alcune hanno già oltrepassato il picco massimo di
estrazione e si stanno esaurendo. E’ solo questione di tempo. Non molto per
alcuni metalli.
Cosa
accadrà, quando la Cina, la più grande potenza economica, che inonda i nostri
mercati di merci e prodotti, - che vogliono che consumiamo compulsivamente, di
cui ci dicono che non possiamo fare a meno,
cui ci siamo abituati, assuefatti e che l’occidente non produce più- oltre
che diventare, a breve, la prima potenza mondiale sotto il profilo produttivo
ed economico, ne avrà bisogno per il proprio mercato interno, in crescita
costante, di circa il 10 % annuo? Ovviamente non esporterà più in Occidente,
come fa adesso. Lo stesso accadrà con i BRIC produttori ed esportatori.
Riflettiamoci , perché avverrà nel giro di pochi anni.
La
crisi polisistemica, di per sé, non è ora superabile o affrontabile. Non
ne abbiamo ancora la piena consapevolezza e le capacità concettuali necessarie.
Non è pensabile, affrontarle e superarle separatamente, una alla volta.
Si
può e si deve individuarne una causa prima comune, se si ritiene che vi sia.
C’è
e quindi possiamo farci qualcosa.
Quello
che si può fare e che s’impone da subito, è la messa in discussione e la
costruzione di un’alternativa alla causa
principale all’origine di tutte le crisi :
lo
sfruttamento a fini del maggior profitto immediato possibile, della Natura
,delle risorse del pianeta e delle popolazioni, da parte del capitalismo
neoliberista.
Per
questo il libro si limita all’analisi delle cause della crisi
economico-finanziaria, alle sue conseguenze attuali, in particolare in Europa e
negli Stati Uniti, ai suoi possibili sbocchi e a quello che possiamo/dobbiamo
farci noi, per non pagarne i costi, facendoli pagare a chi ne è responsabile.
Questo
comporta spiegare dove, come e perché nasce la crisi, che perdura dal 2007 e di
cui non s’intravede la fine. Lo stesso Draghi, rinvia a dopo il 2014, l’inizio
di una timida “ripresa”, nell’eurozona, o meglio in una parte di essa, nella
zona forte del centro-nord Europa, ovviamente fatta pagare a caro prezzo ai
PIIGS ( Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna).
Sia
chiaro, la crisi non ha gli stessi effetti per tutti i Paesi europei, né per
tutti i popoli, nel senso che si manifesta con intensità diversa e non tutti i
Paesi la pagano allo stesso modo, per non dire che non tutta la popolazione la
paga e viceversa, grazie alla sua gestione, le elitès e le classi alte ci si
arricchiscono ed alcuni paesi diventano più potenti. Per ora. Ma come abbiamo
accennato, le cose potrebbero cambiare anche per loro.
La
Germania, in primis e l’Europa del centro nord, nella crisi si arricchiscono e
rafforzano il loro potere egemonico. Solo temporaneamente però, perché
un’Europa impoverita non potrà più essere il mercato per i loro prodotti, come
lo è attualmente e l’intera Europa, se non cambieranno le cose, si avvia ad
avere un ruolo economico e politico,secondario, rispetto alle economie dei paesi
emergenti.
Occorre
chiedersi cui prodest, non avere fatto niente per rimuovere le cause e gli
effetti delle crisi che si susseguono dal 2007.
Per
questo, occorre valutare, intanto, i suoi costi economici, sociali e culturali,
fatti pagare interamente alle popolazioni incolpevoli, ed in particolare alle
giovani e future generazioni.
Questo
libro, oltre a contribuire a cercare risposte alle domande iniziali, entra nel
merito, ineludibile, del Che Fare,
politicamente,socialmente e legislativamente, per fare pagare la crisi, a chi ne è responsabile e
per poterla affrontare e superarla, per quanto possibile, rimuovendone le cause, in una prospettiva
europea, oltre che italiana, perché,diversamente, sarebbe impossibile.
Da
qui l’urgenza di costruire un’alternativa, per realizzare quanto appena detto,
in primo luogo e per impedire, per quanto possibile, che la guerra economica e
finanziaria sbocchi in una guerra globale.
Costruire
l’alternativa, non vuole affatto dire “fare la rivoluzione”, tutt’altro. Intanto
vuole dire difenderci dalla contro-rivoluzione, dalla lotta di classe dall’alto
che stanno facendo da anni e che stanno vincendo i potenti, contrastandola, mobilitandoci e lottando per ritorcergliela contro. Il che,
non sarebbe affatto poco.
E
poi di quale rivoluzione si tratterebbe? Non certo quella per il comunismo, che
ha prodotto il “”socialismo reale”, non ha abolito il lavoro salariato,ha
prodotto capitalismo di stato e dittature del Partito, con relative tragedie
storiche in URSS, morto e sepolto sotto le macerie del muro di Berlino, mentre
il comunismo cinese si è convertito al capitalismo neoliberista, nelle sue
espressioni più bieche e feroci, sotto la guida del Partito. Esperienze
storiche irripetibili. Non dimentichiamoci che le forze politiche italiane che
si definiscono comuniste, da due legislature non superano la soglia minima per
entrare in Parlamento. Vorrà pur significare qualcosa. A mio parere vuol dire
che i partiti sedicenti comunisti, hanno tradito le speranze d’emancipazione
dei popoli, che credevano in loro, pagando altissimi costi umani e, fatto ancora più grave, perdendo forse la
speranza di potere abolire lo stato di cose presente, lottando dal basso, senza
più partiti-guida, senza più ideologie, rivelatesi fallaci, impotenti. Con la
consapevolezza che occorre fare a meno di partiti e ideologie.
Quella
di genere, compete alle donne in prima persona e gli uomini possono solo non
ostacolarla in nessun modo, viceversa affiancarla, renderla possibile, nella
vita quotidiana, se le donne lo vorranno.
Io, diversamente da una parte delle femministe, non la ritengo possibile
disgiunta dalla lotta di classe d’uomini e donne, assieme, per abolire lo stato
di cose presente. Una cosa è certa, senza <<l’altra metà del
cielo>> non è possibile alcuna rivoluzione, né una vera lotta di classe.
Tra
i libri citati, si parla di
<<contagio>, che dovrebbe derivare dall’abbattimento delle dittature
nei paesi del Magreb, geograficamente nostri dirimpettai, ma che sono lontani
da noi, anni luce, sotto ogni altro profilo li si analizzi, perché, dopo la
cosiddetta primavera araba, paesi come la Libia e l’Egitto, sono sconvolti
dalla guerra civile, tra clan , tra tribù e soprattutto tra le diverse fazioni religiose.
Il referendum egiziano, mostra una società spaccata in due, con la componente
religiosa fondamentalista dei Fratelli Musulmani, che hanno invitato la
popolazione a non votare,addirittura maggioritaria. La concezione militaresca
della lotta politica per risolvere un problema culturale e sociale e la logica
militare di dichiararli terroristi, rivela la miopia di “regalare” al
terrorismo il seguito della maggioranza della popolazione più povera e
ignorante , controllata dagli ajatollà, che perseguono l’obiettivo
dell’instaurazione di un califfato tramite la Jiad islamica. E’ un problema
sociale, culturale e quindi politico, da affrontare con la politica, facendo
leva sulle componenti islamiche non fodamentaliste e soprattutto con una più
equa ripartizione della ricchezza. La libertà dalla fame, dal bisogno, dalle
diseguaglinze, sono le prime e più
importante libertà per i poveri, per i popoli, solo dopo vengono i diritti
civili.
In
altri libri,si parla di <<rivolta>> e di <<sollevazione>>.
Niente in contrario, se se ne vedessero i segnali concreti, vale a dire la
partecipazione di massa. Condicio sine qua non per poterne parlare Che
viceversa, per ora , non c’è affatto, con l’eccezione di quelle viste nei quartieri
ghetto di Londra, con l’assalto ai mall da parte prevalentemente di giovani. Mi
sembrano parole che presentano il rischio di una concezione insurrezionalista,
alquanto datata, ancorata nel passato per la precisione. Un’insurrezione e una
rivolta di popolo, di cui non c’è
traccia in Europa. Per ora almeno. In Italia, viceversa, s’è visto il tentativo, per ora fallito,
sedizioso ed eversivo dei Forconi, affiancati dai neofascisti e,
incredibilmente, da frange anarchiche.
Una
concezione insurrezionalista che , quelli come me , provenienti da Lotta
Continua, hanno abbandonato, ritenendola un vicolo cieco.
Del
resto le sole lotte di piazza più dure, violente e durature, ma prive di un
programma politico generale elettorale, alternativo a quello dei partiti, in
Grecia, hanno portato alla affermazione elettorale di un governo a guida delle
banche, come quello di Monti. E alle ultime elezioni cantonali in Francia,in
tutti i Cantoni, ha preso la maggioranza assoluta il partito di ultradestra populista,
xenofobo, razzista della Marie Le Pen, a cui guarda la Lega.Infine in Svizzera
ha vinto il referendum promosso dalla de4stra per la limitazione dell’ingresso
agli stranieri.
Sono
lezioni recenti, senza scomodare quelle del passato, in cui lo sbocco delle
crisi sono stati il fascismo ed il nazismo,di cui deve tenere conto, in
particolare chi si professa marxista.
I
Movimenti Occupy Wall Street e gli analoghi europei, quello degli Indignados, i
No Tav, i No Muos, quelli per la casa e il salario di cittadinanza e tanti
altri –sono una miriade-, finora, non si sono posti il problema dello sbocco
istituzionale delle loro lotte che, in democrazia, è l’unica possibilità di
poter cambiare le leggi. Se non lo facciamo ora quando lo faremmo? Se non ora
quando hanno detto le donne. Ascoltiamole.
Per
anni ho ritenuto che fosse la lotta e non il voto a decidere lo scontro di
classe e ritengo che allora , questa indicazione fosse giusta, necessaria. Per
i proletari noi eravamo quelli della <<lotta dura senza paura>> e
su questo terreno avevamo la nostra forza reale. Il fiasco di Democrazia
Proletaria alle elezioni lo confermò. Altri tempi e altre circostanze storiche
Oggi
viceversa ritengo che lo scontro di classe si giochi innanzi tutto sul piano
elettorale, sostenuto da una mobilitazione
e da una lotta continua e prolungata,
sostenibile, che faccia crescere coscienza, forza, legittimazione, consenso,
adesione. Una mobilitazione sostenuta da milioni di firme d’adesione ad un
Programma Politico, elaborato dal basso, attraverso una Coalizione, senza padri
padrone, a partire dai movimenti che si sono espressi e che finora si sono
mobilitati e hanno lottato su obiettivi specifici, legati alla difesa del
territorio e le lotte operaie contro la chiusura delle fabbriche, le cui sorti
dipendono ormai da compagnie straniere.
Un
programma espressione di una lista elettorale di Alternativa Democratica
Apartitica, indipendente, autonoma dai partiti e da ideologie. Alternativa
perché indispensabile ad un presente voluto e gestito dai potenti, che ci hanno
condotto in questa situazione. Democratica perché alla democrazia non vedo
alternative; una democrazia da rigenerare. Apartitica perché è stato grazie al
malgoverno dei partiti e ai loro privilegi, a cui non rinunceranno se non
glielo imporremo legislativamente.
Questo
non può avvenire spontaneamente.
Occore
che si formi un Comitato Promotore, costituito da una Coalizione di soggetti sociali autoorganizzati, e da personalità
note per la loro integrità, onestà e competenze, con la definizione di regole
interne di democrazia e di rappresentatività delle realtà territoriali, che possa
finanziare e organizzare, la diffusione del Programma, la raccolta di firme e
di adesione, nei luoghi di lavoro e sul territorio.
La
Coalizione , come risuonava a Oakland nel novembre 2012, o a Francoforte a maggio 2012, durante le giornate di
mobilitazione contro la Bce, e non piuttosto unione. La coalizione fa
riferimento a un’<<ontologia dell’essere sociale>> (b Lukàcs 1923)
irriducibilmente plurale. Così come sono molteplici le le figure del lavoro,
che oggi vengono segnate dal medesimo processo di spoliazione, altrettanto
comune, nella differenza e nella pluralità, deve essere il processo federativo
che le tiene assieme e ne organizza l’antagonismo radicale alla dittatura
finanziaria di Wall Street, della City di Londra, di Francoforte.
Un
Programma da definire in itinere,a partire da una proposta iniziale,
integrabile e modificabile, che propongo alla conclusione del libro,a cui
aderire non solo con le firme cartacee ma anche tramite la costituzione di un
blog nazionale ,che raccolga le adesioni e che sia contemporaneamente uno
strumento di consultazione di massa, sulle scelte da fare e le decisioni
prioritarie da prendere La gestione del blog dovrà essere assolutamente democratica
e rappresentativa delle realtà della Coalizione. Questo per evitare quanto sta
accadendo sul blog “ di Grillo”, padre padrone, gestito verticisticamente da un
gruppo dirigente ristretto, autoproclamatosi , in quanto “propretari” del logo.
Può
sembrare un obiettivo minimalista e contemporaneamente impossibile. Ma non lo è
affatto.
Innanzi
tutto in passato, negli anni ’70 e successivamente, tanto per fare un esempio,
il caso di <<Liberi, Liberi>>, la raccolta di firme dei CIP
(Comitati Insegnanti Precari) e in occasione di tante raccolte di firme ancora
in corso, su obiettivi specifici,
comitati promotori si sono costituiti e si stanno costituendo.
L’analisi
di classe dei movimenti che si sono espressi in questi ultimi anni,sostiene questa
prospettiva, questa scelta.
Tutti
movimenti citati non si sono rifatti ad alcuna ideologia, hanno espresso la
loro indipendenza, autonomia, la loro alterità, il loro carattere alternativo
al sistema dei partiti; hanno viceversa espresso il loro carattere
anticapitalista e contro il neoliberismo, per la difesa del lavoro, del
territorio e del bene comune.
Su
un altro piano, in tutti i sondaggi, oltre che nelle precedenti elezioni, il “
partito” di maggioranza è quello del rifiuto del voto, di tutti coloro che non
si riconoscono nei partiti attuali, nella casta dei politici attuali, corrotta
e privilegiata; né si riconosce nell’intera classe dirigente che ha portato il
Paese in questa situazione. Milioni di cittadini che pagano i costi della crisi
di cui non sono responsabili Sono l’espressione di una consapevolezza della
necessità di cambiamenti radicali, di una sfiducia assoluta nell’attuale
partitocrazia e classe dirigente.
Sta
rinascendo una <<classe in sè>> ma non ancora una <<classe per sé>>, come direbbe Marx, perché è
oggettivamente una classe, ma ancora priva di una coscienza di classe, che non
ha ancora raggiunto la consapevolezza della necessità di dare vita ad una sua
espressione organizzata, tramite una lista elettorale alternativa, con un proprio
programma politico basato sui loro bisogni, sulle loro proposte.
Ripeto,questo
non può avvenire spontaneamente. Occorre che coloro che hanno una coscienza di
classe, che già si sono mobilitati nei vari movimenti su obbiettivi specifici,
offrano loro una proposta di programma e di autoorganizzazione dal basso.
Sono
milioni di cittadini che vogliono un’alternativa; ai quali si deve proporre
un’alternativa e non sono solo quelli del rifiuto del voto, ma anche quelli che
hanno votato M5S, per il rinnovamento, ma che non vogliono un leader demagogo e
populista, un padre padrone, bloccato nell’immobilismo , privo di capacità di
incidere sulla realtà politica, in attesa solo di un’affermazione elettorale
maggioritaria, possibile solo se Grillo accentuerà il suo populismo, xenofobo,
razzista, di destra. E pur di vincere lo farà, perché per questo è disposto a
tutto. Grillo è pericoloso. Questo non significa che lo sia , di per sé, il
M5S, una forza nuova, in gran parte giovane, ma dipenderà da quanto si affrancherà
dalla “tutela” Grillo e della sua linea e ambizione politica.
Infine
gli elettori che hanno visto i loro voti a liste contrapposte, traditi e
costretti al governo delle “larghe intese”, ormai ridotto alle “strette intese”,
che si limita a galleggiare e non è
escluso che il PD , si spacchi in Parlamento, rifiutando di seguire le
indicazioni del segretario Renzi, che ha capito che la sua è un’occasione unica
e senza appello, con la necessità assoluta di un’accellerazione dell’azione di
governo, su un programma concreto, ristretto, di poche cose da fare, a partire
dalla riforma elettorale, che consenta di andare a nuove elezioni in un sistema
bipolare.
Non
sono mai stato iscritto al Pci, né al Pds, né un sostenitore del PD, né un
renziano, nelle ultime tornate elettorali ho rifiutato il voto ai partiti, ma
Renzi nel PD ha ragione,rappresenta il nuovo di quel partito e si sta muovendo
velocemente, mentre Letta ed i suoi sostenitori, sono l’espressione della
vecchia guardia, che lo ha indicato come premier, posta di fronte alla propria
emarginazione. Vedremo come va a finire. Al più presto, si spera, per il bene
del Paese.
Non
sono un sostenitore della teoria del tanto peggio tanto meglio, anzi spero che
non si precipiti nel caos istituzionale, in cui può accadere di tutto e di
peggio.
Non
sarà un’impresa facile, costruire una Coalizione dei vari movimenti, che finora
non ne sentono l’esigenza e procedono ognuno per conto proprio.Una scelta
identitaria comprensibile, ma miope, se non si sente l’esigenza di superarla.
Una Coalizione consente il mantenimento della propria identità, non comporta
l’unità a tutti i costi, su tutto. Comporta la mediazione e la focalizzazione
dei punti fondamentali comuni Né sarà facile dare vita ad una lista elettorale,
una scelta che nessun movimento ha proposto, forse perché alle elezioni si
presentano i partiti della casta politica. Ma è l’ora di riappropriarsi di
questo terreno e di questo strumento, conquistato, non dimentichiamolo, dalle
lotte dei nostri padri, dalla lotta partigiana per la democrazia.
Né
sarà facile dare vita ad una mobilitazione di massa,perché molti giovani, la
maggioranza, è dispersa, priva di luoghi di aggregazione, disoccupata o con un
lavoro e una vita precaria, priva d’esperienze di mobilitazione, di lotta e di
ribellione. Una generazione cresciuta con l’unica prospettiva, loro imposta, della disoccupazione o di lavori precari per i più e, di
conseguenza, di una vita precaria, assistita dalla famiglia, corre il rischio di assuefarsi alla
precarietà, di considerarla inevitabile, “ normale”.
Accade
già da molti anni negli Stati Uniti, dove “è normale” essere licenziati
dall’oggi al domani, con la differenza che, fino ad alcuni anni fa, il lavoro si
ritrovava in tempi brevi. Ora non è più così némmeno là, mentre da noi non trovarlo
è la norma, tant’è che moltissimi non lo cercano nemmeno più. La stragrande
maggioranza di questi giovani,di mobilitazone, di lotte, di ribellione, ne ha
solo sentito parlare. Vive in una condizione di ricatto terribile, con l’unica
alternativa della disoccupazione, al lavoro precario. Una condizione che
investe anche molti operai, che da un lavoro con contratto a tempo
indeterminato, sono stati esodati o sono in cassa integrazione, una situazione
che maschera la disoccupazione a cui sono destinati.
L’arma
dello sciopero è spuntata ed inefficace in una situazione di crisi e di
recessione produttiva, in cui si produce di meno, perché ormai siamo in deflazione,
in cui calano prezzi per la riduzione dei consumi. Ciò che resta della classe
operaia delle grandi fabbriche, sconfitta, subisce il ricatto della chiusura
dei reparti, delle fabbriche e il loro trasferimento all’estero, oltre che quello
della proprietà, sempre più in mano a società e multinazionali straniere.
Subisce il ricatto di Marchionne che liquida il Contratto Nazionale di Lavoro
alla Fiat-Crysler. Misura estesa anche alle Ferrovie.
Intanto
la Fiat –Crysler diventa CSA, con sede legale e fiscale all’estero, non è più
di fatto italiana e non risiede più in Italia epuò comportarsi come un gruppo
straniero, con stabilimenti produttivi anche in Italia. Il governo non avrebbe
dovuto permetterlo, senza che la Fiat avesse restituito i miliardi che ha
ricevuto , circa 10.000 di lire solo nel decennio novanta e forse di più nel
nuovo millennio.
I
lavoratori subiscono impotenti l’attacco all’articolo 18 e l’intero programma
del ministro coccodrillo che piange e del governo delle banche, che aggrava la
situazione del paese con misure di rigore recessive, con l’aumento del debito pubblico
e senza l’ombra di crescita e di ripresa, con l’aumento spaventoso della
disoccupazione, in primis quella giovanile e delle donne, con la riduzione dei
consumi, con l’aumento della povertà. Sono i dati Istat a dirlo. Parlare di
ripresa è una mistificazione come quella di Monti, che vedeva la luce in fondo
al tunnel. Allucinazioni propagandistiche.
Per
non parlare della perdita di sovranità nazionale, co n governi a cui la troika,
Bce, Ue e Fmi, dettano le politiche economiche, dell’involuzione autoritaria
della democrazia, inaugurata con Berlusconi, con la legge elettorale del “
porcellum”, con il disconoscimento della volontà popolare espressa dal rifiuto maggioritario
del voto e dal voto di protesta e per il cambiamento, con la Costituzione messa
da parte e l’instaurazione, di fatto, di una Repubblica presidenziale,
incostituzionale, con Napolitano che impone le condizioni per la sua
rielezione, in netto contrasto con la volontà espressa dal voto, ultimo
baluardo della democrazia, che dimostra
di non essere più il presidente di tutti gli italiani, super partes e di fatto
dirige il governo Letta.
Tutte
cose accadute senza proteste di massa. Berlusconi è caduto ma il berlusconismo
no ed i suoi 20 anni hanno inciso sulla mentalità della popolazione, unitamente
ad una campagna di propaganda operata da tutti i mass media, più o meno
allineati sulle posizioni neoliberiste, prevalenti in Europa.
Le
uniche lotte operaie che si vedono in questi ultimi anni, sono quelle
disperate, contro la chiusura delle fabbriche ed il ricatto del licenziamento.
Non sono gli immigrati a portare via il posto di lavoro agli italiani,
disposti, nella crisi, ad fare lavori che prima rifiutavano, è il decentramento
all’estero delle fabbriche e la deindustrializzazione del nostro Paese, denunciata
dalla stessa Ue.
Lo
sciopero generale in una fase di recessione e di deflazione, cioè di riduzione
dei prezzi per i mancati consumi, è di
fatto inefficace, una perdita di salario, incapace di mobilitare la maggioranza
dei lavoratori e dei cittadini. Spiace dirlo, ma è un dato di fatto.
Occorre
chiedersi allora, in cosa consiste da tempo la principale fonte di
accumulazione capitalistica, contro cui lottare e la risposta è che la
ricchezza non si origina più dal lavoro, bensì dalla rendita finanziaria, dal
meccanismo della creazione di denaro, tramite il denaro.
Questo
è il meccanismo che occorre smantellare e questo lo si può fare solo
legislativamente. Stesso discorso vale per il cambiamento radicale del Trattato
di Maastrict, della natura e della funzione della Banca Centrale europea, attualmente
una banca privata che non può prestare denaro agli Stati ma solo alle banche, e
alla loro speculazione, da sottoporre al controllo democratico del Parlamento
europeo e così via.
Proporre
di raccogliere firme per cambiare lo stato delle cose, può apparire un’arma
spuntata, una pratica insufficiente, con cui non si conclude nulla.
Io
viceversa credo che i grandi numeri contino politicamente e milioni di firme su
un Programma politico e di adesione ad una lista elettorale, sono un
pronunciamento politico, da gestire e che nessuno può eludere.
Tra
tutte le lotte fatte sin da giovane,l’unica vincente che ho fatto , è stata
quella dei docenti precari organizzati nei Comitati Insegnanti Precari ( CIP),
indipendenti da sindacati e partiti. Con una sottoscrizione nazionale e la
pubblicazione a pagamento di mezza pagina sul Corriere della Sera, sulla loro
condizione , per rompere il silenzio <<assordante>> sulla realtà di
un soggetto sociale debole, discriminato contrattualmente. Con la raccolta di
50.000 firme su una Piattaforma Nazionale Unitaria, portata avanti con una
mobilitazione continua, con lotte clamorose e poco costose. e conclusa con 12
giorni di sciopero della fame in Piazza Monte Citorio, davanti al Parlamento.
Una
lotta, legittimata e sostenuta dalle firme, faceva ridere tutte le altre
organizzazioni della sinistra, che credevano e praticavano solo lo sciopero e
le manifestazioni a Roma. Due forme di lotta molto costose per i docenti
precari e che duravano lo spazio di un giorno. Ma fummo noi a rappresentare a
livello istituzionale i docenti precari e il riconoscimento della
professionalità acquisita in servizio, la bandiera dei CIP, fu riconosciuta in
una legge dello stato.
Un’esperienza
di cui parlo diffusamente nel mio primo libro <<Una spia da un milione di
dollari>>
Credo
che fare pagare la crisi e i suoi costi, a chi l’ha generata, a cominciare dal
rifiuto di pagare un debito pubblico illegittimo, che quindi va cancellato,
oggi è fare qualcosa di più di una rivoluzione per una presa del potere, perché
comporta una rivoluzione culturale, per liberarci da decenni di propaganda e di
lavaggio del cervello, per una presa di
coscienza, individuale e collettiva.
Per
la rigenerazione della democrazia
partecipativa, attraverso la mobilitazione, le lotte della maggioranza
della popolazione che paga i costi della crisi; la sua partecipazione e
adesione all’elaborazione di un Programma politico dal basso, espressione dei
loro obiettivi e proposte.
Per
la rigenerazione della democrazia rappresentativa, attraverso la presentazione di liste alle elezioni
locali e nazionali di <<Alternativa Democratica Apartitica>>,
intanto per l’attuazione concreta e totale della Costituzione, cancellandone
gli sfregi apportatigli di recente, col governo Monti, e per l’attuazione del
Programma Politico.
Comporta
molte cose, esplicitate nella mia proposta di Programma Politico
Ad
esempio comporta dichiarare fuorilegge e abolire legislativamente, gli
strumenti finanziari della controrivoluzione neoliberista, che i potenti stanno
facendo e vincendo. Comporta conquistare un proprio spazio autogestito, sulla
televisione pubblica, nella società dello spettacolo. Comporta l’abolizione dei
privilegi di classe della casta politica, delle ex corporazioni fasciste, nel
settore pubblico, e dell’intera classe dirigente, da licenziare, per giusta
causa, per come hanno ridotto il paese. Comporta una ridistribuzione della
ricchezza a favore dei ceti meno abbienti. Comporta il diritto ad un lavoro
dignitoso, stabilizzando i lavoratori precari, per il superamento del
precariato nel lavoro e la precarietà nella vita. Comporta ridare il futuro
alle persone che ne sono state espropriate, in particolare ai giovani e alle
donne Comporta l’equità fiscale, con la riduzione a livelli fisiologici
dell’evasione. Comporta la tutela del patrimonio comune, del bene pubblico.
Comporta in definitiva l’attuazione completa della nostra Costituzione, per una
società fondata sulla giustizia sociale.
Con
la consapevolezza di dover agire in un paese che hanno reso anomalo e che sono
in primo luogo queste anomalie, che devono essere superate, abolite nello stato
delle cose e dentro di noi. In un paese dove la sospensione della democrazia,
il suo svuotamento sostanziale e la sua degenerazione, hanno fatto più passi
avanti che in ogni altro paese europeo.
E
facendo questa mobilitazione e lotta democratica, in prima persona,
indipendente dai partiti e libera da ideologie, cambieremo noi stessi e tutti
coloro che saranno al nostro fianco.
Ma
non nascondo di essere colto da un senso d’impotenza. Perchè la crisi corre
veloce, cambia la realtà che ci circonda,incide in profondità, per cui ne siamo
colpiti in prima persona e a livello familiare, dovendo aiutare i figli
disoccupati o precari; ne abbiamo una percezione, angosciosa dalle immagini, dalle notizie sui mass media,
che sono solo la classica punta dell’iceberg, un decimo della sua realtà,
mentre i nove decimi restano sommersi.
Capita
di non volere sentirne e capirne di più, perché ci si sta male e si capisce che
ci sentiamo impotenti a cambiare la realtà di come vanno le cose. E questo ci
fa stare ancora peggio. Perché, di fatto, senza volerlo affatto, si finisce per
dare ragione a tutti coloro che dicono
di stare tranquilli, di avere fiducia che ne usciremo, che basta aspettare e
lasciare fare a loro. Sennonché loro, sono quelli che la crisi non la pagano
affatto, non sanno neppure cosa significhi in realtà, sono quelli che ci hanno
portato in questa situazione. Oppure quelli che sono sempre stati rassegnati,
che non hanno mai fatto niente per cambiare le cose, forse perché, se e quando
ci hanno provato o hanno visto altri provarci, l’hanno pagata o l’hanno visti
pagarla cara.
E
allora <<ma chi te lo ha fatto fare?>> ti chiedono <<a cosa è
servito?>> : domande fatte per ignoranza e , più spesso, per creare
un’alibi al proprio immobilismo, di fronte alla propria coscienza, ammesso che
una coscienza ce l’abbiano.
Insomma
la rassegnazione regna sovrana ed è uno stato d’animo antico, di solito
maggioritario che, storicamente e di recente ha portato a sbocchi reazionari,
populisti, nazionalisti, di destra,fino a quando, di fronte al fallimento di
questa strada, la forza della disperazione costringe a mobilitarsi e a lottare,
per un’aternativa, perché non ce la si fa più. Nei sondaggi è quanto sta
accadendo in Grecia con Syriza
Ma
occore che la minoranza cosciente offra un’alternativa.
Viviamo
da anni nella società dello spettacolo, nel mondo di Matrix, nel villaggio
globale dominato dal pensiero unico. E questo ha avuto conseguenze, un
condizionamento e un prezzo pagato, volenti o nolenti.
La
mia generazione ha cominciato a vedere la televisione con Lascia e Raddoppia e
la pubblicità era solo il teatrino di Carosello. I giovani, a cui mi rivolgo in
particolare, davanti alla televisione, ci sono cresciuti e alla sua pubblicità e
ai “bisogni” che induce, si sono assuefatti, come ad una droga. Loro sono
cresciuti nella <<società dello spettacolo>> e non hanno la più
pallida idea della società, in cui siamo cresciuti noi
Di
questo, chi legge e scrive è consapevole, ma tutto quello che quotidianamente
si riesce a fare è ben poco, niente per cambiare la situazione. Ognuno
,individualmente, sta più attento a cosa comprare, cercando di ridurre le spese
superflue, evitando il superfluo e non solo. Ma cosa sia il superfluo, in
realtà non lo sappiamo, perché, in parte, ci siamo abituati da molti anni. Ci
hanno abituato da molti anni. Quelli della mia generazione, cresciuti, come me
nell’immediato dopoguerra, si ricordano come allora si vivesse con molte meno
cose. Dai nostri genitori, abbiamo sentito come loro avessero vissuto molto
peggio, nella miseria nera, soffrendo la fame, durante la guerra. Per cui siamo
consapevoli di come l’idea del superfluo, sia molto relativa e soggettiva,
oltre storicamente determinata.
Ma
soprattutto sappiamo, che i miglioramenti del nostro tenore di vita, non sono
il superfluo, li abbiamo conquistati strappati col lavoro con le lotte, nostre e dei nostri
padri, purtroppo anche col sangue dei tanti, sempre troppi, che sul lavoro e in
quelle lotte, ci hanno lasciato la vita.
Ecco
è proprio ripensando a questi nostri compagni ( parola che uso con molta
discrezione, come espressione di rispetto, verso chi compagno lo è stato
veramente, quando esserlo aveva un significato chiaro non ambiguo, né generico;
oggi troppo utilizzata con una faciloneria che ne svilisce il significato), che
rinasce un senso di ribellione, una voglia di giustizia sociale,di una vita
dignitosa, in cui ci sia posto per la speranza,la consapevolezza , che ci
stanno togliendo qualcosa che è nostro, che ci appartiene e fa parte di
noi,della nostra vita passata, presente e futura,perché sappiamo quanto e cosa
abbiano dovuto fare i nostri padri, per conquistarlo.
Quello
che ci stanno togliendo non è soltanto qualcosa di materiale, spesso di
indispensabile, è qualcosa che ha che fare, con le nostre aspirazioni di un
mondo migliore, più giusto, più solidale. In definitiva con le nostre idee da
giovani che sono rimaste, con i nostri valori e ideali, con le nostre speranze,
con i nostri sogni di allora per il nostro futuro, che oggi è diventato
l’incubo del presente.
E
questo non hanno il diritto di farlo, non dobbiamo permettergli di toglierci il
presente e negarci il futuro; ci appartiene, nel profondo di noi stessi, nella
nostra coscienza, fa parte del nostro Dna di esseri umani.
Per
la mia generazione,sono trascorsi gli anni della lotta in prima persona, senza
delegare; anche volendolo, ci mancano le energie. Quello che si può fare è
lasciare testimonianza di quello che si è fatto, degli errori commessi, dei
limiti che abbiamo incontrato e che non siamo riusciti a superare, dare
consigli.
Per
aiutare a non commettere di nuovo gli stessi errori. Senza volere fare i
maestri. Più semplicemente, spiegando la nostra esperienza, per aiutare i giovani,
a riconquistare il loro presente e il loro futuro.
Certo,
il rumore di fondo è assordante e sono trascorsi gli anni, la realtà è
profondamente cambiata, è diversa e molto più difficile da aggredire, da
cambiare, perché , da un lato si è sedimentata dentro di noi, dall’altro sono i
nostri potenti nemici a cambiarla velocemente ed in profondità.
Viene
la tentazione allora di preservarla, prima che loro la stravolgano ancora di
più. Ma sarebbe un grave errore, Perché questa realtà l’hanno voluta e
determinata loro, non noi. E’ la
realtà della crisi e del debito pubblico perenne, da pagare per sempre,
dell’impoverimento per noi e dell’arricchimento per loro. E’ la realtà che la
crisi polisistemica sta cambiando lo stesso pianeta, indipendentemente dai
nostri desideri o voleri. Stiamo attraversando una fase di transizione, senza
sapere quanto durerà e come si caratterizzerà, senza neppure sapere dove ci
porterà. Sappiamo solo che è globale, che non sarà connotata da alcuna crescita
per uno sviluppo, così come li si intende oggi o,infinito come li intendono i
potenti. In merito possiamo solo accennare ad alcune cose, nella parte finale
del libro, perché affrontare questi problemi significherebbe scrivere un altro
libro.
Stare
fermi rassegnati, limitarci ad adattarci ad arrangiarci per tirare avanti, non
servirebbe a mantenere la realtà di oggi, servirebbe solo a farla peggiorare, a
farci arretrare ancora di più sotto, i colpi della lotta di classe fatta dai
potenti contro di noi.
Chi
ha avuto la possibilità , l’occasione, la fortuna, la determinazione di
ribellarsi in passato, o ci è stato costretto o ci si è trovato per caso, sa
cosa significa ribellarsi e sa farlo anche in maniera diversa dal passato,
perché le lotte cambiano in meglio, le persone che le fanno, credendoci. Sono
un’esperienza di vita, indelebile, preziosa, qualunque sia stato il loro esito,
anche la sconfitta, come è accaduto alla mia generazione.
E’
un’esperienza che la gran maggioranza dei giovani non ha fatto, al più ne ha
sentito parlare dagli anziani, ma non avendola vissuta, in realtà non la può
capire realmente. Può accadere che sentirne parlare provochi sensazioni
contrastanti, indifferenza, insofferenza, sufficienza, rifiuto, per una cosa
calata dall’alto.
Perché,
giustamente, si vuole essere liberi di fare le proprie esperienze.
In
definitiva siamo stati sconfitti, cosa avremmo da insegnare?
Possiamo
solo dire che le sconfitte, insegnano molto, talvolta più delle vittorie, se se
ne capiscono le ragioni e soprattutto, se offrono un’altra possibilità , di
riprovarci ancora, di riprovarci meglio. <<Provaci ancora Sam. Provaci
meglio>>dice Samuel Becket.
Molti,
i più della mia generazione, tacciono, si limitano ad osservare. Dopotutto,
pensano, tocca ai giovani lottare per cambiare la loro situazione.Come tentammo
di fare noi. Eppoi essere rimasti scottati dall’acqua bollente, segna e non si
dimentica facilmente. C’è anche la consapevolezza di rischiare di dare i
consigli sbagliati. O peggio ancora, di ripresentare ricette ideologiche,
morte, ma non per tutti ancora sepolte. Sicuramente morte e sepolte lo sono per
quelli, come me, che viene da una militanza in Lotta Continua, che di quelle
ideologie sancì l’insufficienza, i limiti storici e teorici, per fare la
rivoluzione, nella società occidentale, della seconda metà del ‘900.
Non
dimentichiamoci infine, last but not least, che lo scioglimento dell’organizzazione,
comportò la diaspora. Per molti operai comportò cambiare fabbrica, prima di
essere licenziati. Alcuni (pochi) passarono armi e bagagli al servizio del
nemico di classe. Per i più, fu una tragedia e significò imparare a sopravvivere
nel terremoto, quando non c’erano più certezze a cui aggrapparci o vie di fuga
verso un riparo: credo che questa sia la situazione che descrive meglio di
ogni altra metafora la nostra situazione oggi.
In
quella condizione c’era ben poco o niente da trasmettere. C’era da reimparare a
vivere la propria vita, non più da militanti, per chi ce la fece. Una parte non
ce la fece.
Scelse
l’oblio e si suicidò nella droga o la fuga nel vicolo cieco della lotta armata,
uccidendo persone ridotte a simboli E furono tragedie per se e per gli altri.
Precisamente
questa, credo, fu la ragione per cui decidemmo di non trasmettere niente della
nostra esperienza, per non condizionare le nuove generazioni. Eppure delle
lotte di quegli anni, fummo gli interpreti più genuini, quelli che volevano
veramente fare la rivoluzione e non è un caso,se tra tutte le organizzazioni
exraparlamentari, è di Lotta Continua e del significato della sua esperienza,
che si continua a parlare.
Perché
Lotta Continua non fu solo lotte. Fu, per molti, molto di più e altro e questo
altro ha dato poi i suoi frutti e può ancora darne. Non è un caso che della sua
esperienza, esistano più versioni, viste da diversi punti d’osservazione,
perché una ricostruzione complessiva è semplicemente impossibile. Troppo
articolata e troppo complessa, per le diverse anime che ebbe, per come, ognuno
la visse.
Per
me dire oggi dire << la lotta continua>> è, più che dire una verità , è dire un’ovvietà,
è fare una constatazione, di un dato di fatto. Perché si è costretti a lottare
per andare avanti, per sopravvivere nella realtà che cambia. In secondo luogo
resto convinto che la lotta cambia le persone, che lottano per cambiare le cose,
credendoci. Le cambia in meglio.
Il
libro costituisce quindi, un completamento, un ampliamento e un approfondimento
dell’analisi e della proposta politica,
del mio libro precedente, <<Una spia da un milione di dollari>>,
di cui restano ancora valide alcune analisi:
-la
realtà interna ad un’azienda a tecnologia avanzata, facente parte di un Grande
Gruppo Industriale; i criteri e i meccanismi reali di gestione dei ricercatori,
di là dall’immagine pubblica e inoltre, i limiti contrattuali e legislativi,
relativi ai loro diritti per le invenzioni, che hanno applicazione
industriale;per finire con la sedicente superiorità della gestione privata su
quella pubblica;
-le
analogie, tra le sorti della Montedison, smembrata e venduta a corporations
straniere e lo “spezzatino” della Fiat, che può preludere ad una sorte analoga;
-la
scomparsa, di pressoché tutta la grande industria ad alta tecnologia italiana e
le sue conseguenze, già molto evidenti oggi, per la difficoltà ( o meglio
impossibilità) di una ripresa, preclusa, sul piano industriale, dai limiti
dell’innovazione tecnologica, indispensabile per potere competere sui mercati
globali, per mancanza di Ricerca e Sviluppo, non fattibile, in un tessuto
industriale, fatto per oltre il 90 % , da piccole e medie industrie;
-
la lotta vincente dei docenti precari, nella seconda metà degli anni ’90,
organizzati nei Comitati Insegnanti Precari (CIP);
-da
me riprese,da No Logo di Naomi Klein, relative ai marchi ( logo), non
più prodotti in occidente, bensì nelle Zone Industriali di Esportazione (EPZ) e
l’analisi storica del capitalismo neoliberista, in Shock Economy; Il capitalismo dei disastri,
dalla sua comparsa sulla scena mondiale,
col golpe di Pinochet nel 1973, fino all’uragano Katrina.
La
proposta di Programma che conclude il libro, risulta limitata dal mancato
inserimento nel contesto e in una prospettiva europea.
Il
libro, ripercorre, a grandi linee, le tappe fondamentali dello sviluppo
capitalista, dal dopoguerra al neoliberismo odierno,alla crisi in Usa e alla
crisi del debito pubblico,nei paesi europei ed in particolare nel nostro Paese,
aggiornati al 2013.
L’analisi
della crisi nei paesi PIGS, è limitata alla Grecia, come caso emblematico
Del
resto le misure e i costi fatti pagare alle popolazioni dei PIIGS, sono molto
simili tra loro, in quanto dettate dalla Bce e dalla troika.
La
globalizzazione, è di nuovo analizzata, sotto il profilo della lotta di classe
nella società dello spettacolo,entrando nel merito della finanziarizzazione
dell’economia e dell’economia del debito e dei loro strumenti, quali i derivati,
oltre al ruolo delle agenzie di rating ed infine dell’economia criminale.
Si
può, quindi, ritenere un libro,
complementare al primo.
Dati
, informazioni , notizie e alcune considerazioni, citate o riportate, sono
tratte da alcuni libri, di seguito citati, in ordine assolutamente casuale:
-Elido
Fazi LA TERZA GUERRA MONDIALE? Fazi editore (2012)
-Luciano
Gallono LA LOTTA DI CLASSE. Dopo la lotta di classe Editori Laterza
(2012)
-Gianni
Dragoni BANCHIERI E COMPARI. Come mala finanza e capitalismo si mangiano i
soldi dei risparmiatori .Chiarelettere (2012)
-
Giulietto Chiesa INVECE DELLA CATASTROFE. Perché costruire un’alternativa è
ormai indispensabile EDIZIONI PM (2013)
-
Loretta Napoleoni ECONOMIA CANAGLIA. Il lato oscuro del nuovo ordine
mondiale. Il saggiatore (2009)
-
Loretta Napoleoni IL CONTAGIO Perchè la crisi economica rivoluzionerà le
nostre democrazie. RCS Libri Spa
(2011)
-Francesco
Raparelli RIVOLTA O BARBARIE. La democrazia del 99 per cento contro i
signori della moneta. Adriano Salani SpA (2012);
-
Pietro Grasso con Enrico Bellavia SOLDI SPORCHI. Come le mafie riciclano
miliardi e inquinano l’economia mondiale. Baldini Castoldi Dalai editore
(2011)
Maurizio
Lazzarato LA FABBRICA DELL’UOMO INDEBITATO. Saggio sulla condizione
neoliberista. Edizioni DeriveApprodi (2012)
-
Federico Rampini “Non ci possiamo permettere uno stato sociale”.( FALSO!)
Gius.
Laterza&Figli (2012)
-Paolo
Ferrero PIGS!La crisi spiegata a tutti. DeriveApprodi ( 2012)
-Franco
Berardi Bifo LA SOLLEVAZIONE. Collasso europeo e prospettive del movimento. Piero
Manni Srl (2011).
-
Antonio Marraccini Una spia da un milione di dollari. Il mio libro
(2012)