giovedì 13 febbraio 2014

UNA CRISI SENZA FINE?DOVE CI PUO’ PORTARE? CHE FARE?



                                              PREMESSA
Il titolo del libro pone tre domande. Domande prive di risposte certe.
Occorre chiedersi innanzi tutto, di quale crisi stiamo parlando, della sua natura e delle sue cause, per intuirne i possibili sbocchi e, di conseguenza, cosa si può farci in merito. Io credo che questo dipenda da tutti quelli che, ingiustamente, ne pagano i costi. Da noi quindi.
 La crisi economico-finanziaria, purtroppo, è solo un aspetto del problema, che l’umanità si trova di fronte, perché non siamo in una delle “solite crisi”, come in passato.
Non è “soltanto” una crisi economica, non è “soltanto” una crisi energetica, non soltanto”una crisi demografica, non ”soltanto”una crisi climatica, ambientale, ecologica, non ”soltanto”una crisi dell’acqua, non “soltanto”una crisi dei rifiuti, compresi quelli nucleari, non ”soltanto una crisi, dovuta all’entità finita delle materie prime, non rinnovabili.
Il perché fondamentale risiede nel fatto che tutte queste crisi sono connesse, siamo di fronte ad una crisi polisistemica.
La crisi economica va valutata nell’ambito della crisi polisistemica, di cui fa parte, per superare la quale, purtroppo non vi sono risposte adeguate, alla complessità dei problemi connessi. Non ne abbiamo le competenze, la capacità culturale, per cui, sarà meglio rivedere i nostri stili di vita e di consumo oltre che, ovviamente, i modelli di “sviluppo” attuali.
Ha senso allora parlare e riproporre uno “sviluppo”, così come lo hanno inteso fino ad oggi, o addirittura infinito, come lo intendono i potenti?
Non ha senso, è una follia suicida, una chimera.
Certo, si può sempre sperare in nuove scoperte scientifiche che consentano di affrontare e forse superare i limiti attuali, ad esempio nel campo energetico, perché la scienza non ha limiti e il progresso scientifico è infinito, ma non possiamo dimenticarci che lo sviluppo tecnologico lo controllano i potenti, per i loro scopi di potere e di profitto, compresa una loro possibile sopravvivenza , in caso di catastrofe.
Questo non significa avere come orizzonte il passato, perché ci ha portato a questo punto o tornare all’età della pietra. Indietro non si torna, non si può tornare. Occorre pensare ad un modo diverso di vivere, in una società diversa, solidale, di convivenza tra i popoli e compatibile con la Natura.
Se è così, possiamo parlare ancora “soltanto” di crisi? <<Crisi>> mantiene ancora una connotazione positiva. Può indicare una situazione possibile di superamento. Viceversa c’è la sensazione che non sia più così, che siamo giunti ad una svolta, ad una fase di transizione, dagli sbocchi imprevedibili, perché le “crisi” che viviamo, nel loro insieme, se le cose non cambiano profondamente, assomigliano più a una possibile catastrofe imminente, che a una crisi.
Per cui è inevitabile, doveroso, mettere in conto, oltre alle conseguenze attuali, visibili, anche quelle ignorate dai mass media, quali quelle di un futuro non molto lontano,che hanno fatto nascere tanti Perché? Tra i quali quelli inquietanti del rischio di una guerra globale, non più solo finanziaria ed economica,su scala planetaria. E questo si,significherebbe farci tornare all’età della pietra. Se non li fermeremo.
Già l’attuale Papa Francesco,ha paventato il rischio di un conflitto mondiale , qualora le potenze occidentali avessero bombardato la Siria. Un monito da prendere molto seriamente, perché è evidente che l’Iraq ieri, la Siria oggi e l’Iran domani, sono solo dei casus belli, nella crisi polisistemica, per il controllo geostrategico del petrolio del Golfo Persico. Mentre l’inizio di enduring freedom in Afganistan, la permanenza, dopo oltre 10 anni, della Nato oggi, e di basi americane domani, si spiega, più che con l’obiettivo di uccidere Osama Bin Laden e abbattere il regime dei Taliban, con i quali oggi si tratta,  per l’interesse geopolitico di quest’area, multietnica, strategica per molteplici ragioni, quali ad esempio quelle per il controllo delle vie del petrolio e
 del gas del Mar Caspio; per la produzione di oppio e, last but not least, come avamposto militare americano ai confini della Cina, del Pakistan musulmano, di Paesi dell’ex blocco sovietico e per l’intero Sud est asiatico.
E’ già in atto, la lotta, la guerra per ora a suon di dollari, tra le nazioni più potenti, per il controllo e  l’accaparramento delle principali materie prime, in Africa, sotto l’Artico, in America Latina, perché tutte le materie prime sono in entità finite ed alcune hanno già oltrepassato il picco massimo di estrazione e si stanno esaurendo. E’ solo questione di tempo. Non molto per alcuni metalli.
Cosa accadrà, quando la Cina, la più grande potenza economica, che inonda i nostri mercati di merci e prodotti, - che vogliono che consumiamo compulsivamente, di cui ci dicono che non possiamo fare a meno,  cui ci siamo abituati, assuefatti e che l’occidente non produce più- oltre che diventare, a breve, la prima potenza mondiale sotto il profilo produttivo ed economico, ne avrà bisogno per il proprio mercato interno, in crescita costante, di circa il 10 % annuo? Ovviamente non esporterà più in Occidente, come fa adesso. Lo stesso accadrà con i BRIC produttori ed esportatori.
Riflettiamoci , perché avverrà nel giro di pochi anni.
La crisi polisistemica, di per sé, non è ora superabile o affrontabile. Non ne abbiamo ancora la piena consapevolezza e le capacità concettuali necessarie. Non è pensabile, affrontarle e superarle separatamente, una alla volta.
Si può e si deve individuarne una causa prima comune, se si ritiene che vi sia.
C’è e quindi possiamo farci qualcosa.
Quello che si può fare e che s’impone da subito, è la messa in discussione e la costruzione di  un’alternativa alla causa principale all’origine di tutte le crisi :
lo sfruttamento a fini del maggior profitto immediato possibile, della Natura ,delle risorse del pianeta e delle popolazioni, da parte del capitalismo neoliberista.
Per questo il libro si limita all’analisi delle cause della crisi economico-finanziaria, alle sue conseguenze attuali, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, ai suoi possibili sbocchi e a quello che possiamo/dobbiamo farci noi, per non pagarne i costi, facendoli pagare a chi ne è responsabile.
Questo comporta spiegare dove, come e perché nasce la crisi, che perdura dal 2007 e di cui non s’intravede la fine. Lo stesso Draghi, rinvia a dopo il 2014, l’inizio di una timida “ripresa”, nell’eurozona, o meglio in una parte di essa, nella zona forte del centro-nord Europa, ovviamente fatta pagare a caro prezzo ai PIIGS ( Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna).
Sia chiaro, la crisi non ha gli stessi effetti per tutti i Paesi europei, né per tutti i popoli, nel senso che si manifesta con intensità diversa e non tutti i Paesi la pagano allo stesso modo, per non dire che non tutta la popolazione la paga e viceversa, grazie alla sua gestione, le elitès e le classi alte ci si arricchiscono ed alcuni paesi diventano più potenti. Per ora. Ma come abbiamo accennato, le cose potrebbero cambiare anche per loro.
La Germania, in primis e l’Europa del centro nord, nella crisi si arricchiscono e rafforzano il loro potere egemonico. Solo temporaneamente però, perché un’Europa impoverita non potrà più essere il mercato per i loro prodotti, come lo è attualmente e l’intera Europa, se non cambieranno le cose, si avvia ad avere un ruolo economico e politico,secondario, rispetto alle economie dei paesi emergenti.
Occorre chiedersi cui prodest, non avere fatto niente per rimuovere le cause e gli effetti delle crisi che si susseguono dal 2007.
Per questo, occorre valutare, intanto, i suoi costi economici, sociali e culturali, fatti pagare interamente alle popolazioni incolpevoli, ed in particolare alle giovani e future generazioni.
Questo libro, oltre a contribuire a cercare risposte alle domande iniziali, entra nel merito,  ineludibile, del Che Fare, politicamente,socialmente e legislativamente, per fare  pagare la crisi, a chi ne è responsabile e per poterla affrontare e superarla, per quanto possibile,  rimuovendone le cause, in una prospettiva europea, oltre che italiana, perché,diversamente, sarebbe impossibile.
Da qui l’urgenza di costruire un’alternativa, per realizzare quanto appena detto, in primo luogo e per impedire, per quanto possibile, che la guerra economica e finanziaria sbocchi in una guerra globale.
Costruire l’alternativa, non vuole affatto dire “fare la rivoluzione”, tutt’altro. Intanto vuole dire difenderci dalla contro-rivoluzione, dalla lotta di classe dall’alto che stanno facendo da anni e che stanno vincendo  i potenti, contrastandola, mobilitandoci  e lottando per ritorcergliela contro. Il che, non sarebbe affatto poco.
E poi di quale rivoluzione si tratterebbe? Non certo quella per il comunismo, che ha prodotto il “”socialismo reale”, non ha abolito il lavoro salariato,ha prodotto capitalismo di stato e dittature del Partito, con relative tragedie storiche in URSS, morto e sepolto sotto le macerie del muro di Berlino, mentre il comunismo cinese si è convertito al capitalismo neoliberista, nelle sue espressioni più bieche e feroci, sotto la guida del Partito. Esperienze storiche irripetibili. Non dimentichiamoci che le forze politiche italiane che si definiscono comuniste, da due legislature non superano la soglia minima per entrare in Parlamento. Vorrà pur significare qualcosa. A mio parere vuol dire che i partiti sedicenti comunisti, hanno tradito le speranze d’emancipazione dei popoli, che credevano in loro, pagando altissimi costi umani  e, fatto ancora più grave, perdendo forse la speranza di potere abolire lo stato di cose presente, lottando dal basso, senza più partiti-guida, senza più ideologie, rivelatesi fallaci, impotenti. Con la consapevolezza che occorre fare a meno di partiti e ideologie.
Quella di genere, compete alle donne in prima persona e gli uomini possono solo non ostacolarla in nessun modo, viceversa affiancarla, renderla possibile, nella vita quotidiana, se le donne  lo vorranno. Io, diversamente da una parte delle femministe, non la ritengo possibile disgiunta dalla lotta di classe d’uomini e donne, assieme, per abolire lo stato di cose presente. Una cosa è certa, senza <<l’altra metà del cielo>> non è possibile alcuna rivoluzione, né una vera lotta di classe.
Tra i libri citati,  si parla di <<contagio>, che dovrebbe derivare dall’abbattimento delle dittature nei paesi del Magreb, geograficamente nostri dirimpettai, ma che sono lontani da noi, anni luce, sotto ogni altro profilo li si analizzi, perché, dopo la cosiddetta primavera araba, paesi come la Libia e l’Egitto, sono sconvolti dalla guerra civile, tra clan , tra tribù e soprattutto tra le diverse fazioni religiose. Il referendum egiziano, mostra una società spaccata in due, con la componente religiosa fondamentalista dei Fratelli Musulmani, che hanno invitato la popolazione a non votare,addirittura maggioritaria. La concezione militaresca della lotta politica per risolvere un problema culturale e sociale e la logica militare di dichiararli terroristi, rivela la miopia di “regalare” al terrorismo il seguito della maggioranza della popolazione più povera e ignorante , controllata dagli ajatollà, che perseguono l’obiettivo dell’instaurazione di un califfato tramite la Jiad islamica. E’ un problema sociale, culturale e quindi politico, da affrontare con la politica, facendo leva sulle componenti islamiche non fodamentaliste e soprattutto con una più equa ripartizione della ricchezza. La libertà dalla fame, dal bisogno, dalle diseguaglinze,  sono le prime e più importante libertà per i poveri, per i popoli, solo dopo vengono i diritti civili.
In altri libri,si parla di <<rivolta>> e di <<sollevazione>>. Niente in contrario, se se ne vedessero i segnali concreti, vale a dire la partecipazione di massa. Condicio sine qua non per poterne parlare Che viceversa, per ora , non c’è affatto, con l’eccezione di quelle viste nei quartieri ghetto di Londra, con l’assalto ai mall da parte prevalentemente di giovani. Mi sembrano parole che presentano il rischio di una concezione insurrezionalista, alquanto datata, ancorata nel passato per la precisione. Un’insurrezione e una rivolta  di popolo, di cui non c’è traccia in Europa. Per ora almeno. In Italia, viceversa, s’è  visto il tentativo, per ora fallito, sedizioso ed eversivo dei Forconi, affiancati dai neofascisti e, incredibilmente, da frange anarchiche.
Una concezione insurrezionalista che , quelli come me , provenienti da Lotta Continua, hanno abbandonato, ritenendola un vicolo cieco.
Del resto le sole lotte di piazza più dure, violente e durature, ma prive di un programma politico generale elettorale, alternativo a quello dei partiti, in Grecia, hanno portato alla affermazione elettorale di un governo a guida delle banche, come quello di Monti. E alle ultime elezioni cantonali in Francia,in tutti i Cantoni, ha preso la maggioranza assoluta il partito di ultradestra populista, xenofobo, razzista della Marie Le Pen, a cui guarda la Lega.Infine in Svizzera ha vinto il referendum promosso dalla de4stra per la limitazione dell’ingresso agli stranieri.
Sono lezioni recenti, senza scomodare quelle del passato, in cui lo sbocco delle crisi sono stati il fascismo ed il nazismo,di cui deve tenere conto, in particolare chi si professa marxista.
I Movimenti Occupy Wall Street e gli analoghi europei, quello degli Indignados, i No Tav, i No Muos, quelli per la casa e il salario di cittadinanza e tanti altri –sono una miriade-, finora, non si sono posti il problema dello sbocco istituzionale delle loro lotte che, in democrazia, è l’unica possibilità di poter cambiare le leggi. Se non lo facciamo ora quando lo faremmo? Se non ora quando hanno detto le donne. Ascoltiamole.
Per anni ho ritenuto che fosse la lotta e non il voto a decidere lo scontro di classe e ritengo che allora , questa indicazione fosse giusta, necessaria. Per i proletari noi eravamo quelli della <<lotta dura senza paura>> e su questo terreno avevamo la nostra forza reale. Il fiasco di Democrazia Proletaria alle elezioni lo confermò. Altri tempi e altre circostanze storiche
Oggi viceversa ritengo che lo scontro di classe si giochi innanzi tutto sul piano elettorale, sostenuto da una  mobilitazione  e da una lotta continua e prolungata, sostenibile, che faccia crescere coscienza, forza, legittimazione, consenso, adesione. Una mobilitazione sostenuta da milioni di firme d’adesione ad un Programma Politico, elaborato dal basso, attraverso una Coalizione, senza padri padrone, a partire dai movimenti che si sono espressi e che finora si sono mobilitati e hanno lottato su obiettivi specifici, legati alla difesa del territorio e le lotte operaie contro la chiusura delle fabbriche, le cui sorti dipendono ormai da compagnie straniere.
Un programma espressione di una lista elettorale di Alternativa Democratica Apartitica, indipendente, autonoma dai partiti e da ideologie. Alternativa perché indispensabile ad un presente voluto e gestito dai potenti, che ci hanno condotto in questa situazione. Democratica perché alla democrazia non vedo alternative; una democrazia da rigenerare. Apartitica perché è stato grazie al malgoverno dei partiti e ai loro privilegi, a cui non rinunceranno se non glielo imporremo legislativamente.
Questo non può avvenire spontaneamente.
Occore che si formi un Comitato Promotore, costituito da una Coalizione  di soggetti sociali autoorganizzati, e da personalità note per la loro integrità, onestà e competenze, con la definizione di regole interne di democrazia e di rappresentatività delle realtà territoriali, che possa finanziare e organizzare, la diffusione del Programma, la raccolta di firme e di adesione, nei luoghi di lavoro e sul territorio.
La Coalizione , come risuonava a Oakland nel novembre 2012, o a Francoforte  a maggio 2012, durante le giornate di mobilitazione contro la Bce, e non piuttosto unione. La coalizione fa riferimento a un’<<ontologia dell’essere sociale>> (b Lukàcs 1923) irriducibilmente plurale. Così come sono molteplici le le figure del lavoro, che oggi vengono segnate dal medesimo processo di spoliazione, altrettanto comune, nella differenza e nella pluralità, deve essere il processo federativo che le tiene assieme e ne organizza l’antagonismo radicale alla dittatura finanziaria di Wall Street, della City di Londra, di Francoforte.
Un Programma da definire in itinere,a partire da una proposta iniziale, integrabile e modificabile, che propongo alla conclusione del libro,a cui aderire non solo con le firme cartacee ma anche tramite la costituzione di un blog nazionale ,che raccolga le adesioni e che sia contemporaneamente uno strumento di consultazione di massa, sulle scelte da fare e le decisioni prioritarie da prendere La gestione del blog dovrà essere assolutamente democratica e rappresentativa delle realtà della Coalizione. Questo per evitare quanto sta accadendo sul blog “ di Grillo”, padre padrone, gestito verticisticamente da un gruppo dirigente ristretto, autoproclamatosi , in quanto “propretari” del logo.
Può sembrare un obiettivo minimalista e contemporaneamente impossibile. Ma non lo è affatto.
Innanzi tutto in passato, negli anni ’70 e successivamente, tanto per fare un esempio, il caso di <<Liberi, Liberi>>, la raccolta di firme dei CIP (Comitati Insegnanti Precari) e in occasione di tante raccolte di firme ancora in corso,  su obiettivi specifici, comitati promotori si sono costituiti e si stanno costituendo.
L’analisi di classe dei movimenti che si sono espressi in questi ultimi anni,sostiene questa prospettiva, questa scelta.
Tutti movimenti citati non si sono rifatti ad alcuna ideologia, hanno espresso la loro indipendenza, autonomia, la loro alterità, il loro carattere alternativo al sistema dei partiti; hanno viceversa espresso il loro carattere anticapitalista e contro il neoliberismo, per la difesa del lavoro, del territorio e del bene comune.
Su un altro piano, in tutti i sondaggi, oltre che nelle precedenti elezioni, il “ partito” di maggioranza è quello del rifiuto del voto, di tutti coloro che non si riconoscono nei partiti attuali, nella casta dei politici attuali, corrotta e privilegiata; né si riconosce nell’intera classe dirigente che ha portato il Paese in questa situazione. Milioni di cittadini che pagano i costi della crisi di cui non sono responsabili Sono l’espressione di una consapevolezza della necessità di cambiamenti radicali, di una sfiducia assoluta nell’attuale partitocrazia e classe dirigente.
Sta rinascendo una <<classe in sè>> ma non ancora una <<classe  per sé>>, come direbbe Marx, perché è oggettivamente una classe, ma ancora priva di una coscienza di classe, che non ha ancora raggiunto la consapevolezza della necessità di dare vita ad una sua espressione organizzata, tramite una  lista elettorale alternativa, con un proprio programma politico basato sui loro bisogni, sulle loro proposte.
Ripeto,questo non può avvenire spontaneamente. Occorre che coloro che hanno una coscienza di classe, che già si sono mobilitati nei vari movimenti su obbiettivi specifici, offrano loro una proposta di programma e di autoorganizzazione dal basso.
Sono milioni di cittadini che vogliono un’alternativa; ai quali si deve proporre un’alternativa e non sono solo quelli del rifiuto del voto, ma anche quelli che hanno votato M5S, per il rinnovamento, ma che non vogliono un leader demagogo e populista, un padre padrone, bloccato nell’immobilismo , privo di capacità di incidere sulla realtà politica, in attesa solo di un’affermazione elettorale maggioritaria, possibile solo se Grillo accentuerà il suo populismo, xenofobo, razzista, di destra. E pur di vincere lo farà, perché per questo è disposto a tutto. Grillo è pericoloso. Questo non significa che lo sia , di per sé, il M5S, una forza nuova, in gran parte giovane, ma dipenderà da quanto si affrancherà dalla “tutela” Grillo e della sua linea e ambizione politica.
Infine gli elettori che hanno visto i loro voti a liste contrapposte, traditi e costretti al governo delle “larghe intese”, ormai ridotto alle “strette intese”, che si limita a galleggiare e  non è escluso che il PD , si spacchi in Parlamento, rifiutando di seguire le indicazioni del segretario Renzi, che ha capito che la sua è un’occasione unica e senza appello, con la necessità assoluta di un’accellerazione dell’azione di governo, su un programma concreto, ristretto, di poche cose da fare, a partire dalla riforma elettorale, che consenta di andare a nuove elezioni in un sistema bipolare.
Non sono mai stato iscritto al Pci, né al Pds, né un sostenitore del PD, né un renziano, nelle ultime tornate elettorali ho rifiutato il voto ai partiti, ma Renzi nel PD ha ragione,rappresenta il nuovo di quel partito e si sta muovendo velocemente, mentre Letta ed i suoi sostenitori, sono l’espressione della vecchia guardia, che lo ha indicato come premier, posta di fronte alla propria emarginazione. Vedremo come va a finire. Al più presto, si spera, per il bene del Paese.
Non sono un sostenitore della teoria del tanto peggio tanto meglio, anzi spero che non si precipiti nel caos istituzionale, in cui può accadere di tutto e di peggio.
Non sarà un’impresa facile, costruire una Coalizione dei vari movimenti, che finora non ne sentono l’esigenza e procedono ognuno per conto proprio.Una scelta identitaria comprensibile, ma miope, se non si sente l’esigenza di superarla. Una Coalizione consente il mantenimento della propria identità, non comporta l’unità a tutti i costi, su tutto. Comporta la mediazione e la focalizzazione dei punti fondamentali comuni Né sarà facile dare vita ad una lista elettorale, una scelta che nessun movimento ha proposto, forse perché alle elezioni si presentano i partiti della casta politica. Ma è l’ora di riappropriarsi di questo terreno e di questo strumento, conquistato, non dimentichiamolo, dalle lotte dei nostri padri, dalla lotta partigiana per la democrazia.
Né sarà facile dare vita ad una mobilitazione di massa,perché molti giovani, la maggioranza, è dispersa, priva di luoghi di aggregazione, disoccupata o con un lavoro e una vita precaria, priva d’esperienze di mobilitazione, di lotta e di ribellione. Una generazione cresciuta con l’unica prospettiva, loro imposta,  della disoccupazione  o di lavori precari per i più e, di conseguenza, di una vita precaria, assistita dalla famiglia,  corre il rischio di assuefarsi alla precarietà, di considerarla inevitabile, “ normale”.
Accade già da molti anni negli Stati Uniti, dove “è normale” essere licenziati dall’oggi al domani, con la differenza che, fino ad alcuni anni fa, il lavoro si ritrovava in tempi brevi. Ora non è più così némmeno là, mentre da noi non trovarlo è la norma, tant’è che moltissimi non lo cercano nemmeno più. La stragrande maggioranza di questi giovani,di mobilitazone, di lotte, di ribellione, ne ha solo sentito parlare. Vive in una condizione di ricatto terribile, con l’unica alternativa della disoccupazione, al lavoro precario. Una condizione che investe anche molti operai, che da un lavoro con contratto a tempo indeterminato, sono stati esodati o sono in cassa integrazione, una situazione che maschera la disoccupazione a cui sono destinati.
L’arma dello sciopero è spuntata ed inefficace in una situazione di crisi e di recessione produttiva, in cui si produce di meno, perché ormai siamo in deflazione, in cui calano prezzi per la riduzione dei consumi. Ciò che resta della classe operaia delle grandi fabbriche, sconfitta, subisce il ricatto della chiusura dei reparti, delle fabbriche e il loro trasferimento all’estero, oltre che quello della proprietà, sempre più in mano a società e multinazionali straniere. Subisce il ricatto di Marchionne che liquida il Contratto Nazionale di Lavoro alla Fiat-Crysler. Misura estesa anche alle Ferrovie.
Intanto la Fiat –Crysler diventa CSA, con sede legale e fiscale all’estero, non è più di fatto italiana e non risiede più in Italia epuò comportarsi come un gruppo straniero, con stabilimenti produttivi anche in Italia. Il governo non avrebbe dovuto permetterlo, senza che la Fiat avesse restituito i miliardi che ha ricevuto , circa 10.000 di lire solo nel decennio novanta e forse di più nel nuovo millennio.
I lavoratori subiscono impotenti l’attacco all’articolo 18 e l’intero programma del ministro coccodrillo che piange e del governo delle banche, che aggrava la situazione del paese con misure di rigore recessive, con l’aumento del debito pubblico e senza l’ombra di crescita e di ripresa, con l’aumento spaventoso della disoccupazione, in primis quella giovanile e delle donne, con la riduzione dei consumi, con l’aumento della povertà. Sono i dati Istat a dirlo. Parlare di ripresa è una mistificazione come quella di Monti, che vedeva la luce in fondo al tunnel. Allucinazioni propagandistiche.
Per non parlare della perdita di sovranità nazionale, co n governi a cui la troika, Bce, Ue e Fmi, dettano le politiche economiche, dell’involuzione autoritaria della democrazia, inaugurata con Berlusconi, con la legge elettorale del “ porcellum”, con il disconoscimento della volontà popolare espressa dal rifiuto maggioritario del voto e dal voto di protesta e per il cambiamento, con la Costituzione messa da parte e l’instaurazione, di fatto, di una Repubblica presidenziale, incostituzionale, con Napolitano che impone le condizioni per la sua rielezione, in netto contrasto con la volontà espressa dal voto, ultimo baluardo della democrazia,  che dimostra di non essere più il presidente di tutti gli italiani, super partes e di fatto dirige il governo Letta.
Tutte cose accadute senza proteste di massa. Berlusconi è caduto ma il berlusconismo no ed i suoi 20 anni hanno inciso sulla mentalità della popolazione, unitamente ad una campagna di propaganda operata da tutti i mass media, più o meno allineati sulle posizioni neoliberiste, prevalenti in Europa.
Le uniche lotte operaie che si vedono in questi ultimi anni, sono quelle disperate, contro la chiusura delle fabbriche ed il ricatto del licenziamento. Non sono gli immigrati a portare via il posto di lavoro agli italiani, disposti, nella crisi, ad fare lavori che prima rifiutavano, è il decentramento all’estero delle fabbriche e la deindustrializzazione del nostro Paese, denunciata dalla stessa Ue.
Lo sciopero generale in una fase di recessione e di deflazione, cioè di riduzione dei prezzi per i mancati consumi,  è di fatto inefficace, una perdita di salario, incapace di mobilitare la maggioranza dei lavoratori e dei cittadini. Spiace dirlo, ma è un dato di fatto.
Occorre chiedersi allora, in cosa consiste da tempo la principale fonte di accumulazione capitalistica, contro cui lottare e la risposta è che la ricchezza non si origina più dal lavoro, bensì dalla rendita finanziaria, dal meccanismo della creazione di denaro, tramite il denaro.
Questo è il meccanismo che occorre smantellare e questo lo si può fare solo legislativamente. Stesso discorso vale per il cambiamento radicale del Trattato di Maastrict, della natura e della funzione della Banca Centrale europea, attualmente una banca privata che non può prestare denaro agli Stati ma solo alle banche, e alla loro speculazione, da sottoporre al controllo democratico del Parlamento europeo  e così via.
Proporre di raccogliere firme per cambiare lo stato delle cose, può apparire un’arma spuntata, una pratica insufficiente, con cui non si conclude nulla.
Io viceversa credo che i grandi numeri contino politicamente e milioni di firme su un Programma politico e di adesione ad una lista elettorale, sono un pronunciamento politico, da gestire e che nessuno può eludere.
Tra tutte le lotte fatte sin da giovane,l’unica vincente che ho fatto , è stata quella dei docenti precari organizzati nei Comitati Insegnanti Precari ( CIP), indipendenti da sindacati e partiti. Con una sottoscrizione nazionale e la pubblicazione a pagamento di mezza pagina sul Corriere della Sera, sulla loro condizione , per rompere il silenzio <<assordante>> sulla realtà di un soggetto sociale debole, discriminato contrattualmente. Con la raccolta di 50.000 firme su una Piattaforma Nazionale Unitaria, portata avanti con una mobilitazione continua, con lotte clamorose e poco costose. e conclusa con 12 giorni di sciopero della fame in Piazza Monte Citorio, davanti al Parlamento.
Una lotta, legittimata e sostenuta dalle firme, faceva ridere tutte le altre organizzazioni della sinistra, che credevano e praticavano solo lo sciopero e le manifestazioni a Roma. Due forme di lotta molto costose per i docenti precari e che duravano lo spazio di un giorno. Ma fummo noi a rappresentare a livello istituzionale i docenti precari e il riconoscimento della professionalità acquisita in servizio, la bandiera dei CIP, fu riconosciuta in una legge dello stato.
Un’esperienza di cui parlo diffusamente nel mio primo libro <<Una spia da un milione di dollari>>
Credo che fare pagare la crisi e i suoi costi, a chi l’ha generata, a cominciare dal rifiuto di pagare un debito pubblico illegittimo, che quindi va cancellato, oggi è fare qualcosa di più di una rivoluzione per una presa del potere, perché comporta una rivoluzione culturale, per liberarci da decenni di propaganda e di lavaggio del cervello, per  una presa di coscienza, individuale e collettiva.
Per la  rigenerazione della democrazia partecipativa, attraverso la mobilitazione, le lotte della maggioranza della popolazione che paga i costi della crisi; la sua partecipazione e adesione all’elaborazione di un Programma politico dal basso, espressione dei loro obiettivi e proposte.
Per la rigenerazione della democrazia rappresentativa, attraverso la presentazione di liste alle elezioni locali e nazionali di <<Alternativa Democratica Apartitica>>, intanto per l’attuazione concreta e totale della Costituzione, cancellandone gli sfregi apportatigli di recente, col governo Monti, e per l’attuazione del Programma Politico.
Comporta molte cose, esplicitate nella mia proposta di Programma Politico
Ad esempio comporta dichiarare fuorilegge e abolire legislativamente, gli strumenti finanziari della controrivoluzione neoliberista, che i potenti stanno facendo e vincendo. Comporta conquistare un proprio spazio autogestito, sulla televisione pubblica, nella società dello spettacolo. Comporta l’abolizione dei privilegi di classe della casta politica, delle ex corporazioni fasciste, nel settore pubblico, e dell’intera classe dirigente, da licenziare, per giusta causa, per come hanno ridotto il paese. Comporta una ridistribuzione della ricchezza a favore dei ceti meno abbienti. Comporta il diritto ad un lavoro dignitoso, stabilizzando i lavoratori precari, per il superamento del precariato nel lavoro e la precarietà nella vita. Comporta ridare il futuro alle persone che ne sono state espropriate, in particolare ai giovani e alle donne Comporta l’equità fiscale, con la riduzione a livelli fisiologici dell’evasione. Comporta la tutela del patrimonio comune, del bene pubblico. Comporta in definitiva l’attuazione completa della nostra Costituzione, per una società fondata sulla giustizia sociale.
Con la consapevolezza di dover agire in un paese che hanno reso anomalo e che sono in primo luogo queste anomalie, che devono essere superate, abolite nello stato delle cose e dentro di noi. In un paese dove la sospensione della democrazia, il suo svuotamento sostanziale e la sua degenerazione, hanno fatto più passi avanti che in ogni altro paese europeo.
E facendo questa mobilitazione e lotta democratica, in prima persona, indipendente dai partiti e libera da ideologie, cambieremo noi stessi e tutti coloro che saranno al nostro fianco.
Ma non nascondo di essere colto da un senso d’impotenza. Perchè la crisi corre veloce, cambia la realtà che ci circonda,incide in profondità, per cui ne siamo colpiti in prima persona e a livello familiare, dovendo aiutare i figli disoccupati o precari; ne abbiamo una percezione, angosciosa  dalle immagini, dalle notizie sui mass media, che sono solo la classica punta dell’iceberg, un decimo della sua realtà, mentre i nove decimi restano sommersi.
Capita di non volere sentirne e capirne di più, perché ci si sta male e si capisce che ci sentiamo impotenti a cambiare la realtà di come vanno le cose. E questo ci fa stare ancora peggio. Perché, di fatto, senza volerlo affatto, si finisce per dare ragione  a tutti coloro che dicono di stare tranquilli, di avere fiducia che ne usciremo, che basta aspettare e lasciare fare a loro. Sennonché loro, sono quelli che la crisi non la pagano affatto, non sanno neppure cosa significhi in realtà, sono quelli che ci hanno portato in questa situazione. Oppure quelli che sono sempre stati rassegnati, che non hanno mai fatto niente per cambiare le cose, forse perché, se e quando ci hanno provato o hanno visto altri provarci, l’hanno pagata o l’hanno visti pagarla cara.
E allora <<ma chi te lo ha fatto fare?>> ti chiedono <<a cosa è servito?>> : domande fatte per ignoranza e , più spesso, per creare un’alibi al proprio immobilismo, di fronte alla propria coscienza, ammesso che una coscienza ce l’abbiano.
Insomma la rassegnazione regna sovrana ed è uno stato d’animo antico, di solito maggioritario che, storicamente e di recente ha portato a sbocchi reazionari, populisti, nazionalisti, di destra,fino a quando, di fronte al fallimento di questa strada, la forza della disperazione costringe a mobilitarsi e a lottare, per un’aternativa, perché non ce la si fa più. Nei sondaggi è quanto sta accadendo in Grecia con Syriza
Ma occore che la minoranza cosciente offra un’alternativa.
Viviamo da anni nella società dello spettacolo, nel mondo di Matrix, nel villaggio globale dominato dal pensiero unico. E questo ha avuto conseguenze, un condizionamento e un prezzo pagato, volenti o nolenti.
La mia generazione ha cominciato a vedere la televisione con Lascia e Raddoppia e la pubblicità era solo il teatrino di Carosello. I giovani, a cui mi rivolgo in particolare, davanti alla televisione, ci sono cresciuti e alla sua pubblicità e ai “bisogni” che induce, si sono assuefatti, come ad una droga. Loro sono cresciuti nella <<società dello spettacolo>> e non hanno la più pallida idea della società, in cui siamo cresciuti noi
Di questo, chi legge e scrive è consapevole, ma tutto quello che quotidianamente si riesce a fare è ben poco, niente per cambiare la situazione. Ognuno ,individualmente, sta più attento a cosa comprare, cercando di ridurre le spese superflue, evitando il superfluo e non solo. Ma cosa sia il superfluo, in realtà non lo sappiamo, perché, in parte, ci siamo abituati da molti anni. Ci hanno abituato da molti anni. Quelli della mia generazione, cresciuti, come me nell’immediato dopoguerra, si ricordano come allora si vivesse con molte meno cose. Dai nostri genitori, abbiamo sentito come loro avessero vissuto molto peggio, nella miseria nera, soffrendo la fame, durante la guerra. Per cui siamo consapevoli di come l’idea del superfluo, sia molto relativa e soggettiva, oltre storicamente determinata.
Ma soprattutto sappiamo, che i miglioramenti del nostro tenore di vita, non sono il superfluo, li abbiamo conquistati strappati  col lavoro con le lotte, nostre e dei nostri padri, purtroppo anche col sangue dei tanti, sempre troppi, che sul lavoro e in quelle lotte, ci hanno lasciato la vita.
Ecco è proprio ripensando a questi nostri compagni ( parola che uso con molta discrezione, come espressione di rispetto, verso chi compagno lo è stato veramente, quando esserlo aveva un significato chiaro non ambiguo, né generico; oggi troppo utilizzata con una faciloneria che ne svilisce il significato), che rinasce un senso di ribellione, una voglia di giustizia sociale,di una vita dignitosa, in cui ci sia posto per la speranza,la consapevolezza , che ci stanno togliendo qualcosa che è nostro, che ci appartiene e fa parte di noi,della nostra vita passata, presente e futura,perché sappiamo quanto e cosa abbiano dovuto fare i nostri padri, per conquistarlo.
Quello che ci stanno togliendo non è soltanto qualcosa di materiale, spesso di indispensabile, è qualcosa che ha che fare, con le nostre aspirazioni di un mondo migliore, più giusto, più solidale. In definitiva con le nostre idee da giovani che sono rimaste, con i nostri valori e ideali, con le nostre speranze, con i nostri sogni di allora per il nostro futuro, che oggi è diventato l’incubo del presente.
E questo non hanno il diritto di farlo, non dobbiamo permettergli di toglierci il presente e negarci il futuro; ci appartiene, nel profondo di noi stessi, nella nostra coscienza, fa parte del nostro Dna di esseri umani.
Per la mia generazione,sono trascorsi gli anni della lotta in prima persona, senza delegare; anche volendolo, ci mancano le energie. Quello che si può fare è lasciare testimonianza di quello che si è fatto, degli errori commessi, dei limiti che abbiamo incontrato e che non siamo riusciti a superare, dare consigli.
Per aiutare a non commettere di nuovo gli stessi errori. Senza volere fare i maestri. Più semplicemente, spiegando la nostra esperienza, per aiutare i giovani, a riconquistare il loro presente e il loro futuro.
Certo, il rumore di fondo è assordante e sono trascorsi gli anni, la realtà è profondamente cambiata, è diversa e molto più difficile da aggredire, da cambiare, perché , da un lato si è sedimentata dentro di noi, dall’altro sono i nostri potenti nemici a cambiarla velocemente ed in profondità.
Viene la tentazione allora di preservarla, prima che loro la stravolgano ancora di più. Ma sarebbe un grave errore, Perché questa realtà l’hanno voluta e determinata loro, non noi. E’ la realtà della crisi e del debito pubblico perenne, da pagare per sempre, dell’impoverimento per noi e dell’arricchimento per loro. E’ la realtà che la crisi polisistemica sta cambiando lo stesso pianeta, indipendentemente dai nostri desideri o voleri. Stiamo attraversando una fase di transizione, senza sapere quanto durerà e come si caratterizzerà, senza neppure sapere dove ci porterà. Sappiamo solo che è globale, che non sarà connotata da alcuna crescita per uno sviluppo, così come li si intende oggi o,infinito come li intendono i potenti. In merito possiamo solo accennare ad alcune cose, nella parte finale del libro, perché affrontare questi problemi significherebbe scrivere un altro libro.
Stare fermi rassegnati, limitarci ad adattarci ad arrangiarci per tirare avanti, non servirebbe a mantenere la realtà di oggi, servirebbe solo a farla peggiorare, a farci arretrare ancora di più sotto, i colpi della lotta di classe fatta dai potenti contro di noi.
Chi ha avuto la possibilità , l’occasione, la fortuna, la determinazione di ribellarsi in passato, o ci è stato costretto o ci si è trovato per caso, sa cosa significa ribellarsi e sa farlo anche in maniera diversa dal passato, perché le lotte cambiano in meglio, le persone che le fanno, credendoci. Sono un’esperienza di vita, indelebile, preziosa, qualunque sia stato il loro esito, anche la sconfitta, come è accaduto alla mia generazione.
E’ un’esperienza che la gran maggioranza dei giovani non ha fatto, al più ne ha sentito parlare dagli anziani, ma non avendola vissuta, in realtà non la può capire realmente. Può accadere che sentirne parlare provochi sensazioni contrastanti, indifferenza, insofferenza, sufficienza, rifiuto, per una cosa calata dall’alto.
Perché, giustamente, si vuole essere liberi di fare le proprie esperienze.
In definitiva siamo stati sconfitti, cosa avremmo da insegnare?
Possiamo solo dire che le sconfitte, insegnano molto, talvolta più delle vittorie, se se ne capiscono le ragioni e soprattutto, se offrono un’altra possibilità , di riprovarci ancora, di riprovarci meglio. <<Provaci ancora Sam. Provaci meglio>>dice Samuel Becket.
Molti, i più della mia generazione, tacciono, si limitano ad osservare. Dopotutto, pensano, tocca ai giovani lottare per cambiare la loro situazione.Come tentammo di fare noi. Eppoi essere rimasti scottati dall’acqua bollente, segna e non si dimentica facilmente. C’è anche la consapevolezza di rischiare di dare i consigli sbagliati. O peggio ancora, di ripresentare ricette ideologiche, morte, ma non per tutti ancora sepolte. Sicuramente morte e sepolte lo sono per quelli, come me, che viene da una militanza in Lotta Continua, che di quelle ideologie sancì l’insufficienza, i limiti storici e teorici, per fare la rivoluzione, nella società occidentale, della seconda metà del ‘900.
Non dimentichiamoci infine, last but not least, che lo scioglimento dell’organizzazione, comportò la diaspora. Per molti operai comportò cambiare fabbrica, prima di essere licenziati. Alcuni (pochi) passarono armi e bagagli al servizio del nemico di classe. Per i più, fu una tragedia e significò imparare a sopravvivere nel terremoto, quando non c’erano più certezze a cui aggrapparci o vie di fuga verso un riparo: credo che questa sia la situazione che descrive meglio di ogni altra metafora la nostra situazione oggi.
In quella condizione c’era ben poco o niente da trasmettere. C’era da reimparare a vivere la propria vita, non più da militanti, per chi ce la fece. Una parte non ce la fece.
Scelse l’oblio e si suicidò nella droga o la fuga nel vicolo cieco della lotta armata, uccidendo persone ridotte a simboli E furono tragedie per se e per gli altri.
Precisamente questa, credo, fu la ragione per cui decidemmo di non trasmettere niente della nostra esperienza, per non condizionare le nuove generazioni. Eppure delle lotte di quegli anni, fummo gli interpreti più genuini, quelli che volevano veramente fare la rivoluzione e non è un caso,se tra tutte le organizzazioni exraparlamentari, è di Lotta Continua e del significato della sua esperienza, che si continua a parlare.
Perché Lotta Continua non fu solo lotte. Fu, per molti, molto di più e altro e questo altro ha dato poi i suoi frutti e può ancora darne. Non è un caso che della sua esperienza, esistano più versioni, viste da diversi punti d’osservazione, perché una ricostruzione complessiva è semplicemente impossibile. Troppo articolata e troppo complessa, per le diverse anime che ebbe, per come, ognuno la visse.
Per me dire oggi dire << la lotta continua>> è,  più che dire una verità , è dire un’ovvietà, è fare una constatazione, di un dato di fatto. Perché si è costretti a lottare per andare avanti, per sopravvivere nella realtà che cambia. In secondo luogo resto convinto che la lotta cambia le persone, che lottano per cambiare le cose, credendoci. Le cambia in meglio.
Il libro costituisce quindi, un completamento, un ampliamento e un approfondimento dell’analisi e della proposta politica,  del mio libro precedente, <<Una spia da un milione di dollari>>, di cui restano ancora valide alcune analisi:
-la realtà interna ad un’azienda a tecnologia avanzata, facente parte di un Grande Gruppo Industriale; i criteri e i meccanismi reali di gestione dei ricercatori, di là dall’immagine pubblica e inoltre, i limiti contrattuali e legislativi, relativi ai loro diritti per le invenzioni, che hanno applicazione industriale;per finire con la sedicente superiorità della gestione privata su quella pubblica;
-le analogie, tra le sorti della Montedison, smembrata e venduta a corporations straniere e lo “spezzatino” della Fiat, che può preludere ad una sorte analoga;
-la scomparsa, di pressoché tutta la grande industria ad alta tecnologia italiana e le sue conseguenze, già molto evidenti oggi, per la difficoltà ( o meglio impossibilità) di una ripresa, preclusa, sul piano industriale, dai limiti dell’innovazione tecnologica, indispensabile per potere competere sui mercati globali, per mancanza di Ricerca e Sviluppo, non fattibile, in un tessuto industriale, fatto per oltre il 90 % , da piccole e medie industrie;
- la lotta vincente dei docenti precari, nella seconda metà degli anni ’90, organizzati nei Comitati Insegnanti Precari (CIP);
-da me riprese,da No Logo di Naomi Klein, relative ai marchi ( logo), non più prodotti in occidente, bensì nelle Zone Industriali di Esportazione (EPZ) e l’analisi storica del capitalismo neoliberista, in  Shock Economy; Il capitalismo dei disastri, dalla sua comparsa  sulla scena mondiale, col golpe di Pinochet nel 1973, fino all’uragano Katrina.
La proposta di Programma che conclude il libro, risulta limitata dal mancato inserimento nel contesto e in una prospettiva europea.
Il libro, ripercorre, a grandi linee, le tappe fondamentali dello sviluppo capitalista, dal dopoguerra al neoliberismo odierno,alla crisi in Usa e alla crisi del debito pubblico,nei paesi europei ed in particolare nel nostro Paese, aggiornati al 2013.
L’analisi della crisi nei paesi PIGS, è limitata alla Grecia, come caso emblematico
Del resto le misure e i costi fatti pagare alle popolazioni dei PIIGS, sono molto simili tra loro, in quanto dettate dalla Bce e dalla troika.
La globalizzazione, è di nuovo analizzata, sotto il profilo della lotta di classe nella società dello spettacolo,entrando nel merito della finanziarizzazione dell’economia e dell’economia del debito e dei loro strumenti, quali i derivati, oltre al ruolo delle agenzie di rating ed infine dell’economia criminale.
Si può, quindi,  ritenere un libro, complementare al primo.
Dati , informazioni , notizie e alcune considerazioni, citate o riportate, sono tratte da alcuni libri, di seguito citati, in ordine assolutamente casuale:
-Elido Fazi LA TERZA GUERRA MONDIALE? Fazi editore (2012)
-Luciano Gallono LA LOTTA DI CLASSE. Dopo la lotta di classe Editori Laterza (2012)
-Gianni Dragoni BANCHIERI E COMPARI. Come mala finanza e capitalismo si mangiano i soldi dei risparmiatori .Chiarelettere (2012)
- Giulietto Chiesa INVECE DELLA CATASTROFE. Perché costruire un’alternativa è ormai indispensabile EDIZIONI PM (2013)
- Loretta Napoleoni ECONOMIA CANAGLIA. Il lato oscuro del nuovo ordine mondiale. Il saggiatore (2009)
- Loretta Napoleoni IL CONTAGIO Perchè la crisi economica rivoluzionerà le nostre democrazie.  RCS Libri Spa (2011)
-Francesco Raparelli RIVOLTA O BARBARIE. La democrazia del 99 per cento contro i signori della moneta. Adriano Salani SpA (2012);
- Pietro Grasso con Enrico Bellavia SOLDI SPORCHI. Come le mafie riciclano miliardi e inquinano l’economia mondiale. Baldini Castoldi Dalai editore (2011)
Maurizio Lazzarato LA FABBRICA DELL’UOMO INDEBITATO. Saggio sulla condizione neoliberista. Edizioni DeriveApprodi (2012)
- Federico Rampini “Non ci possiamo permettere uno stato sociale”.( FALSO!)
Gius. Laterza&Figli (2012)
-Paolo Ferrero PIGS!La crisi spiegata a tutti. DeriveApprodi ( 2012)
-Franco Berardi Bifo LA SOLLEVAZIONE. Collasso europeo e prospettive del movimento. Piero Manni Srl (2011).
- Antonio Marraccini Una spia da un milione di dollari. Il mio libro (2012)