lunedì 26 novembre 2012

L’ISLANDA : UN MODO DIVERSO DI USCIRE DALLA CRISI

 Nella tarda primavera del 2011 l’Islanda rastrella sui mercati dei capitali un miliardo di dollari a poco più del 3 per cento. Nel 2008 ha scelto la strada della bancarotta contro il parere del FMI, è riuscita a ristrutturare un debito mille volte superiore al proprio Pil, perché ha ritenuto che l’idea di difenderlo era ridicola e ha rifiutato ,quindi, di imporre sacrifici impossibili alla popolazione.
La popolazione ha messo le redini del paese in mano alle donne.
La popolazione chiese di essere ascoltata e il successo dell’operazione si basò proprio sulla decisione di rimettere le decisioni-chiave alla volontà popolare.
Vediamone le tappe. A Settembre del 2008 si nazionalizza la più importante banca islandese, la Glitnir.Subito dopo crolla la moneta e la Borsa chiude. E’ ufficiale, il Paese è in bancarotta. A gennaio 2009 le proteste dei cittadini di fronte al parlamento provocano le dimissioni del prim ministro e del governo socialdemocratico.Si va alle elezioni anticipate, la situazione economica resta precaria. La popolazione scende in piazza e chiede un referendum contro il risarcimento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda che avevano congelato tutti i fondi di due banche islandesi che opeavano in questi paesi. Il risarcimento avrebbe comportato il pagamento di circa 4 miliardi i euro,un debito che avrebbe gravato su ogni famiglia per la durata di 15 anni, con un tasso di interesse del 5,5 per cento. I NO al pagamento vincono col 93 per cento dei voti.
A febbraio 2011 il Presidente indice un nuovo referendum per il pagamento del debito alle banche internazionali. I NO vincono con una maggioranza schiacciante. Vegono emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell’esecutivo per le responsabilità civili e penali di avere causato la crisi. Tutti i banchieri implicati abbandonano l’isola.
Viene eletta un’assemblea costituente per redigere una nuova Costituzione. Il popolo sovrano elegge 25 cittadini, liberi da affiliazione politica, tra i 522 candidati, col vincolo di non avere tessere di partito, essere maggiorenni e disporre delle firme di almeno 32 sostenitori
La nuova Assemlea costituente a febbraio redige un progetto chiamato Magna Charta in cui confluiscono la maggior parte delle <<linee guida>> delle diverse assemblee popolari.
Il governo ha diviso le banche deficitarie in due tipologie : quelle straniere, dove sono confluiti i debiti esteri, che hanno dichiarato bancarotta e negoziato la ristrutturazione del debito; e quella nazionale che invece è rimasta in piedi. Così, nonostante il sistema bancario si sia ridotto dell’80 per cento, la popolazione ha avuto accesso ai propri risparmi e al credito. Contemporaneamente ha negoziato con i reditori stranieri la ristrutturazione del debito, accollandolo alle nuove banche, nelle quali gli stessi creditori hanno investito, perché era convincente.
Oggi, grazie alla ristrutturazione del debito, il governo islandese è solvente e possiede un livello di indebitamento vicino alla media europea, cioè tra l’80 e il 90 per cento.
L’Islanda è una nazione microscopica: 320.000 abitanti. Ma questo modello può essere esteso anche a nazioni più grandi.
Ben diversamente è andata all’Irlanda il cui governo garantì tutti i debiti delle banche nazionali, trasformando i soldi dei contribuenti in beni collaterali, con l’approvazione delle agenzie di certificazione internazionali, della UE e del FMI, col risultato che si verrà a trovare nella stessa situazione della Grecia e del Portogallo. Intanto Moody’s ha abbassato il rating dell’Irlanda e livello di junk, spazzatura.
L’Islanda ha ammessomla vera natura della crisi : l’insolvenza, chev ha il vantaggio di garantire alle èlite quei privilegi a cu non vogliono rinunciare. La popolazione islandese non ha accettato che quello che oggi neppure gli esclusi d’Europa non vogliono accettare : che i sacrifici vengano imposti dall’alto, senza consultarli e per salvareprima di tutto i responsabili di questo disastro per noi : le èlite.
La rivoluzione francese ci ha insegnato che il popolo è sovrano, perché solo il popolo può fare gli interessi del popolo.. Oggi la sua voce è quella degli Indignati, dei nostri figli e nipoti. 
 

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