lunedì 26 novembre 2012

L’ARGENTINA : UN MODO DIVERSO DI USCIRE DALLA CRISI

Le prove generali delle rivolte arabe, mediorientali ed europee sono avvenute in Sud America dieci anni fa, col rifiuto della privatizzazione dei beni dello Stato e la riduzione della spesa pubblica. Oggi l’economia del debito sovrano  decide le funzioni dello Stato e le sorti delle nazioni, strangolandone le popolazioni. Il credo neoliberista  rafforza e cementa il potere delle èlite, che diventano caste, l’un per cento della popolazione mondiale intasca più della metà della ricchezza prodotta e produce solo crisi sia a livello economico che sociale.
Da vent’anni si ripetono le prove della crisi del debito sovrano: nel ’94-95 è la volta del Messico, nel ’98 tocca alla Russia, nel ’97-98 ai Paesi asiatici, dopo il crollo dell’Argentina va in fallimento l’Ecuador fino alla crisi che investe i Paesi europei dopo il 2007.
I grandi burattinai occidentali sono coloro che controllano i media come Murdoch o i signori dei capitali come Goldman sachs, J.P. Morgan o chi gestisce le grandi banche.
I laboratori  dove si sperimenta  la struttura politica, economica e sociale del villaggio globale futuro non si trovano a Bruxelles o a Wall Street o a Washington, ma nelle piazze e nelle strade delle nazioni vittime  del modello neoliberista occidentale.
L’Argentina inizia la sua modernizzazione durante la Guerra Fredda; per dieci anni si sussegue una insurrezione permanente di ampi settori della popolazione contro dittature e falsi governi democratici, ma tutte le proteste sfocianoinregimi che aderiscono incondizionatamente  all’agenda economica promossa dal << consenso di Washington>> che poggia sulla centralità degl USA, la maggiore potenza mondiale.
Il colpo di Stato contro Isabel Peron del 1976, al seguito delle rivolte popolari contro l’introduzione delle prime riforme neoliberiste, porta al governo i militari che però proseguono sulla stessa strada e per questo, negli anni ’90 piovono le lodi per la democratica Argentina di Menem che ha fatto proprie le misure del FMI, della Banca mondiale e di tutte le organizzazioni economiche internazionali : deregulation dei mercati e apertura alla speculazione; privatizzazione selvaggia dei servizi pubblici e dei beni cmuni; abbattimento della spesa sociale e saccheggio delle risorse naturali; sotto-occupazione; flessibilità e precarizzazione della forza lavoro.
L’opposizione nazionale cresce nelle aree più colpite da uesto modello, le campagne, la piccola impresa e gli intellettuali disoccupati; non poggia su un movimento politico, non ha un leader, ma è spontanea e orizzontale.Gli argentini vogliono farla finita  col neoliberismo imposto dalla governance internazionale.
Nel 2011 la tragedia argentina apre gli occhi a tutto un continente e la popolazione insorge in Frugai, Perù e Paraguai e danno vita a modelli economici misti, dove il neoliberismo si fonde con alcuni elementi del vecchio Welfare State. Vediamone le tappe.
La crisi argentina nasce nei primi anni novanta quando il governo aggancia la moneta nazionale al dollaro, che offre stabilità agli investimenti finanziari esteri, perché rimuove il rischio svalutazione e l’Argentina diventa la nuova Mecca della finanza globalizzata; Goldman Sachs la presenta come il modello dell’economia emergente, per l’America Latina e i Paesi in via di sviluppo.L’agancio del peso al dollaro però comporta che il governo può stampare moneta solo se possiede l’equivalente in dollari, non può inflazionare l’economia né svalutare e tutti e deficit fiscali devono essere coperti indebitandosi sul mercato dei capitali.
A monte c’è l’indebitamento eccessivo, fuori controllo, dovuto alla finanziarizzazione dell’economia; il governo privatizza le pensioni, nascono i fondi pensione gestiti di fatto da i banchieri di Wall Street; le grandi banche d’affari intascano laute commissioni; gli acquirenti erano i fondi pensione e i fondi comuni europei, che risentiranno di più della bancarotta argentina.
I rapportidegli analisti delle stesse banche, dicevano che l’economia argentina cresceva e nonj c’erano rischi e idem per le agenzie di rating.
Gli stessi conflitti d’interesse hanno portato la Enron e la WorldCom in bancarotta rispettivamente nel 2001 e 2002, ma mentre il crollo di queste società ha colpito 400.000 azionisti, nel caso dell’Argentina si tratta dell’allora seconda economia sudamericana.
Col nuovo sistema lo Stato si trova a corto di soldi perché i fondi pensione ancora non producono un reddito, per cui emette buoni del Tesoro che le banche sottoscrivono e piazzano. Lo Stato argentino viene incoraggiato a indebitarsi perché chiunque aveva in portafoglio il debito ci guadagnava perché la bolla si stava gonfiando.Con la crisi dei mercati asiaticie del rublo le vobbligazioni argentine diventano le uniche <<sicure>> perché provenienti da un mercato emergente, con rating positivo. E’ il colpo di grazia, l’impennata degli acquisti fa scoppiare la bolla.
La spesa per le pensioni rappresenta il 70 per cento del deficit dello Stato; la cattiva gestione e l’eccessivo indebitamento fanno crescere il defit di bilancio che passa dal 29 per cento nel 1993 al 41 per cento nel 1998. Alla fine accedere a servizi basilari , come telefono ed elettricità, al cittadino costa dieci volte di più che in passato per cui le famiglie si indebitano, visto che il credito è a buon mercato e alla portata di tutti. Così all’indebitamento dello Stato si smma quello privato.Una storia che si ripete in Europa.Sulla carta le cose vanno benone, con un nrating eccezionale e l’economia , grazie al tasso fisso col dollaro, cresce a ritmi svenuti.
Ma si tratta di un miraggio finanziario, la realtà è molto diversa. Il crac argentino è frutto di un’infezione che arriva dal crollo dei mercati asiatici; improvvisamente i capitali stranieri vengono rimpatriati perché è tempo di portare a casa i guadagni; diventa difficile finanziare il debito a tassi nojn proibitivi, rallenta la crescita a seguito della crisi economica nel vicino Brasile, un’economia intimamente legata a quella argentina nel 1999, si contrae il gettito fiscale, lo Stato non riesce a pagare il debito, con conseguente crollo dei mercati, peggioramento della recessione e così via in una spirale viziosa L’FMI interviene con un prestito di 14 miliardi di dollari che non bastano, il tasso di interesse per piazzare le obbligazioni sale al 10,5 per cento, troppo alto per essere sostenuto.
Wall Street interviene con un consorzio di banche e finanziarie con un debt swap che allunga il periodo di vita del debito, ne dilaziona i pagamenti, in cambio della crescita dei tassi d’interesse e le commissioni che ammontano a 100 milioni di dollari.Nel dicembre 2011 arriva la bancarotta, un crollo simile a quello dl ’29. In pochi giorni il peso si svaluta del 70 per cento, il Pil si contrae del 20 per cento, la disoccupazione sale del 60 per cento, salari e pensioni non vengono più pagati, la gente assalta le banche e saccheggia i supermercati.
L bancarotta argentina diventa il più grande crack del debito sovrano nella storia dell’economia : 141 miliardi di dollari in obbligazioni. Eppure sono appena una frazione dei 1800 miliardi di euro del debito pubblico italiano nel 2011.Cinque presidenti si avvicendano in due settimane. Si verifica un potente contagio insurrezionale. Alla rivolta argentina seguono quella boliviana(2003) e quella ecuadoregna (2005) e innesca un processo che arriva in America Centrale fino al Nicaragua e all’Honduras e porta al potere governi di centrosinistra da Lula a Evo Morales.
Il passaggio dal governo ( neoliberista) alla governance ( post-neo-liberista) ha in America Latina uno dei suoi banchi di prova più strategici : Brasile, Argentina, Perù sono laboratori del futuro ? Qui si sperimentano nuove politiche anti-crisi, non certo con tagli e disinvestimenti ma al contrario estendendo la spesa sociale; un ritorno alle teorie keinesiane con un pizzico di marxismo.
  

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