lunedì 26 novembre 2012

Presentazione di alcune analisi ricavate da:Loretta Napoleoni << Il Contagio.. Perché la crisi economica rivoluzionerà le nostre democrazie>> e Maurizio Lazzarato << La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista>>

Gli scritti che seguono riguardano la crisi del debito sovrano che attanaglia i Paesi europei della fascia mediterranea e di cui paghiamo i costi,  a partire dalla sua origine negli USA, tramite una serie di documenti-schede, relativi alle sue caratteristiche in ogni Paese.
Sono il frutto della lettura di due libri a cui ho attinto, sia per i dati che per le analisi che cito. Si tratta del libro dell’economista Loretta Napoleoni << Il Contagio.. Perché la crisi economica rivoluzionerà le nostre democrazie>> e il libro del sociologo e filosofo Maurizio Lazzarato << La fabbrica dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista>>.
Le analisi e le domande che si pone la Napoleoni, a mio parere, trovano risposta in Lazzarato che, a partire dalla Geneaologia della morale di Nietzsche, dalla teoria marxiana della moneta del Marx giovane in Le lotte di classe in Francia e sulla natura del rapporto creditore-debitore in  Estratti dal libro di James Mill , sviluppa l’analisi del rapporto creditore-debitore compiuta da Deleuze e Guattari con L’anti Edipo, negli anni ’70, riattivando due ipotesi.
Scrive Lazzarato << Anzitutto , l’ipotesi secondo la quale il paradigma sociale non è dato dallo scambio ( economico e/o simbolico), ma dal credito. Alla base della relazione sociale non c’è l’uguaglianza ( dello scambio), ma l’asimmetria del rapporto debito/credito che precede, storicamente e teoricamente la relazione tra produzione e lavoro salariato. Poi l’ipotesi che vede nel debito un rapporto economico indissociabile dalla produzione del soggetto debitore e della sua <<moralità>> …Il concetto contemporaneo di economia ricopre sia la produzione economica che la produzione di soggettività…Occorre dunque …analizzare l’economia del debito e della produzione dell’uomo indebitato, nel tentativo di costruire armi utili a combattere le battaglie che si annunciano. Poiché la crisi, lungi dal chiudersi, rischia di estendersi. >>
<< E’ inutile cercare un fondamento a ciò che si chiama capitalismo (l’industria,la finanza,lo Stato o la produzione di conoscenza) perché non esiste un nucleo unico da cui deriverebbero le sue relazioni di potere e non esiste un luogo, un’istituzione, un dispositivo più strategico degli altri…Non c’è un unico rapporto (economico,politico, di indebitamento, di conoscenza) che possa contenere,totalizzare e dominare tutti gli altri…ciò che io chiamo economia del debito è un concatenamento che tiene assieme queste molteplicità. La loro unità non è sistematica, ma operativa, cioè costituisce una <<politica>> che da luogo a composizioni e unificazioni sempre parziali e temporali. E, nel capitalismo, la <<politica>> è sempre definita in relazione e agli imperativi del conflitto di classe…Per usare le parole di Lenin , la governamentalità ha prodotto un capitalista collettivo che non si concentra sulla finanza, ma opera trasversalmente dentro l’impresa, l’amministrazione, i servizi, i partiti politici, i media e l’università…La governamentalità passando da una politica all’altra si modifica…La parabola che il <<liberalismo>> traccia conduce sempre agli stessi risultati : crisi, restrizione della democrazia e delle libertà <<liberali>> e attuazione di regimi più o meno autoritari, a seconda dell’intensità della lotta di classe>>
                                                   IN CONCLUSIONE
 <<A quali condizioni possiamo riattivare la lotta di classe che l’iniziativa capitalista ha completamente spostato sul terreno “ astratto” e “deterritorializzato” del debito?...Il debito impone, come terreno di lotta una trasversalità di tutti gli ambiti : trasversalità tra Stati e spazi nazionali, tra sfera economica, politica e sociale, tra figure dello sfruttamento e del dominio…se non vogliamo farci spazzare via o schiacciare dal Grande Creditore...Il debito si fa beffe delle frontiere e delle nazionalità, supera le divisioni tra occupazione e disoccupazione, tra attivi e inattivi, tra precari e garantiti…La figura dell’<<uomo indebitato>> è trasversale alla società nel suo insieme e richiede nuove solidarietà e cooperazioni. Inoltre dobbiamo pensare alla trasversalità tra << natura e cultura>> perché il neoliberismo ha ulteriormente appesantito il debito che abbiamo contratto nei confronti del pianeta e di noi stessi in quanto viventi…Ciò che l’FMI, l’Europa e la Banca centrale europea ordinano, dietro ricatto dei mercati, sono ancora rimedi neoliberisti che non fanno altro che aggravare la situazione…Le uniche istituzioni a essere uscite dall’ultimo fallimento finanziario sono le banche, che continuano a fare profitti e a distribuire dividendi grazie alla nazionalizzazione delle perdite…Il capitalismo funziona sempre in questo modo, razzista, nazionalista, maschilista, patriarcale e autoritario, che tratteggia un modo di vivere infame ;<<vivere e pensare come porci>>- con tutto il rispetto per i maiali-, un modo di vivere di cui l’Italia berlusconiana ha fatto una messa in scena di incomparabile volgarità.
 Una delle condizioni indispensabili alla lotta di classe è la reinvenzione di una <<democrazia>> che attraversi e riconfiguri ciò che le teorie più sofisticate continuano pensare separatamente – la politica, il sociale e l’economia-, visto che il debito le ha già integrate all’interno di un dispositivo che le articola e organizza…Dove scovare le ragioni del <torto>> e le <<condizioni>> se non a partire dai rapporti di sfruttamento e di dominio attuali?Il compito più importante consiste nell’immaginare e sperimentare modalità di lotta che abbiano l’efficacia di blocco che aveva lo sciopero nella società industriale…Le teste di legno dei capitalisti e dei governanti riescono a sentire solo il linguaggio della crisi o quello della lotta….Nietzsche può darci ancora qualche indicazione <<La compiuta e definitiva vittoria dell’ateismo potrebbe affrancare l’umanità da tutto questo suo sentirsi in debito verso il proprio principio, la propria causa prima. Ateismo e una sorta di seconda innocenza sono intrinsecamente connessi>>…La ripresa della lotta di classe lì dove serve, ovvero dove è più efficace, deve riconquistare, rispetto al debito, questa seconda <<innocenza>>…non più verso il debito divino ma verso il debito terrestre…che modula e formatta la nostra soggettività. Non si tratta quindi dunque semplicemente di annullare i debiti o di rivendicare un default- quand’anche sarebbe estremamente utile-, ma di uscire dalla morale del debito Cercando di giustificarsi rispetto al debito abbiamo perso. Qualunque giustificazione già vi rende colpevoli. Occorre conquistare questa seconda innocenza, liberasi da colpevolezza, dovere, cattiva coscienza e non rimborsare un centesimo. Occorre battersi per la cancellazione del debito ,il quale, ricordiamolo, non è un problema economico, ma un dispositivo di potere che non soltanto ci impoverisce, ma ci porta alla catastrofe.>>

Come si può vedere l’analisi, a partire da un livello teorico alto e complesso, conclude parlando della necessità di nuove forme di lotta, oltre lo sciopero, di superamento delle divisioni tra attivi e inattivi, tra precari e garantiti, di trasversalità della mobilitazione nella società e dei contenuti,che non possono che essere generali, quelli che riguardano tutti coloro che pagano i costi della crisi, che ho riassunto nella mia proposta di nuove forme di lotta clamorose, come lo sciopero della fame a staffetta davanti al Parlamento, di raccogliere milioni di firme per il Programma Politico Apartitico Unitario dei Cittadini; di reinvenzione della democrazia, che non può che essere partecipativa, per concludere con l’indicazione della richiesta della cancellazione del debito, cosa non diversa e che concretizza l’indicazione degli Indignatos <<NOI LA CRISI NON A PAGHIAMO. PAGHI CHI NON HA MAI PAGATO>>.
Queste analisi completano quindi e portano a conclusione, quelle citate, sviluppate e concretizzate nelle proposte, nel mio libro <<Una spia da un milione di dollari>>.
                                                    
                                                          CONTENUTI
- La crisi del Debito Sovrano nei paesi europei
-Le banche, l’alta finanza e la crisi
- La crisi dei subprime negli Usa
- La Grecia nella crisi del debito sovrano
-La Spagna nella crisi del debito sovrano
- La Francia nella crisi
- La Germania e la crisi : un modello da seguire?
- L’Islanda, un modo diverso di uscire dalla crisi
- Il caso Argentina  

LA CRISI DEL DEBITO SOVRANO

In Europa la lotta di classe si concentra intorno alla crisi del debito, che arriva a toccare anche gli Usa e il mondo anglosassone, cioè i paesi che hanno prodotto il neoliberismo e le illusioni economiche e politiche degli ultimi quarant’anni, e il susseguirsi dei disastri finanziari.
La crisi attuale non è cominciata con il disastro finanziario, è piuttosto il risultato del fallimento del programma neoliberista ( fare dell’impresa il modello di qualunque relazione sociale) e della resistenza, che la figura soggettiva da questi promossa ( il capitale umano e l’imprenditore di se stessi) ha incontrato. E’ questa resistenza, anche se passiva, che ostacolando la realizzazione del programma neoliberista ha trasformato il credito in debito. Se il credito e il denaro esprimono la loro comune natura di <<debito>> è perché l’accumulazione è bloccata, è incapace di garantire nuovi profitti e di produrre nuove forme di assoggettamento.
E’ stato il Giappone a entrare per primo – dopo l’esplosine della bolla immobiliare negli anni ’90 e la successiva esplosione del debito per rimettere in sesto il sistema bancario- in una <<crescta zero>> che volge ormai alla recessione.
Il modello soggettivo <<fordista>>,( impiego a vita, un tempo dedicato unicamente al lavoro, il ruolo della famiglia e la sua divisione patriarcale dei ruoli ecc) è esaurito. Ad esso è subentrata la precarietà del lavoro e della vita.
La crisi del debito non è una follia della speculazione ma il tentativo di mantenere in vita un capitalismo già malato. Il “miracolo economico” tedesco è una risposta regressiva e autoritaria  all’impasse che si era già manifestata prima della crisi del 2007. E’ per questa ragione che la Germania e l’Europa sono così feroci e inflessibili con la Grecia. La crisi finanziaria apre una nuova fase politica , nella quale il capitale non può più contare sulla promessa di una futura ricchezza per tutti , come negli anni ’80.
Per dirla come Marx, può solo contare sull’estensione e l’approfondimento del <<plusvalore assoluto>>, ovvero un allungamento del tempo di lavoro, un incremento del lavoro non retribuito e dei bassi salari, dei tagli ai servizi, della precarizzazione delle condizioni di vita e di impiego, sulla diminuzione della speranza di vita.
Il governo del pieno impiego precario e la tagliola del saldo del debito richiedono l’integrazione nel sistema politico democratico di interi blocchi del programma delle estreme destre.
La resistenza che non ha aderito al programma neoliberista rappresenta la speranza di fuggire alle <<tecnologie di governo>> dei <<governi tecnici>> del debito 
E’ finita l’epopea degli anni ’80 e ’90, dei creativi,del lavoratore indipendente, che investe su di se.  “ padrone di se stesso” che nel perseguire i propri interessi privati, lavora per il bene di tutti.
Oggi l’imperativo è assumere su di se i costi e i rischi della catastrofe finanziaria. La popolazione deve farsi carico del debito che le imprese e lo Stato “esternalizzano” verso la società, il debito privato è diventato debito sovrano degli Stati, debito pubblico, debito nostro.
Attraverso il debito pubblico a indebitarsi è l’intera società acuendo ed esasperando le disuguaglianze, cioè le differenze di classe.. Di fronte al capitale-Creditore Universale siamo tutti “debitori”, responsabili e colpevoli del nostro destino,senza distinzione di sorta tra occupati e disoccupati, consumatori e produttori, attivi o inattivi, pensionati.
La grandissima maggioranza degli europei viene espropriata dall’economia del debito, del debole potere politico concesso dalla democrazia rappresentativa, di una quota sempre maggiore di ricchezza sociale strappata con le lotte e soprattutto del futuro, ovvero del tempo, come potere di scelta possibile, di decisione sulla nostra vita.
Il blocco di potere neoliberista non può e non vuole “ regolare” gli “eccessi” della finanza, perché il suo programma politico, le sue scelte e decisioni, sono le stesse che ha portato all’ultima crisi finanziaria.
Col ricatto del deficit del debito sovrano vuole portare fino in fondo questo programma, iniziato col golpe di Pinochet del 1973 : ridurre i salari ad un livello minimo, di sussistenza, tagliare i servizi sociali per mettere il Wellfare al servizio dei nuovi “ assistiti”, i ricchi e le imprese, privatizzare qualunque cosa, comprese le funzioni prerogative dello Stato, secondo il detto di Reagan << Lo Stato non è la soluzione. Lo Stato è il problema>>.
Le enormi somme che gli Stati hanno concesso alle banche, alle assicurazioni e agli investitori istituzionali, devono ora essere “ rimborsate” da chi paga le tasse e non dai grandi azionisti e compratori di titoli. I costi peseranno quasi interamente sui salariati, precari e non e sugli strati più deboli della popolazione, in particolare precari giovani e non e le donne.
Col denaro pubblico hanno salvato le banche nazionalizzandone le perdite
Mettendo gli Stati in condizioni di fallimento,permettono di imporre ai paesi in deficit, politiche salariali e sociali che la governance neoliberista sognava sin dagli anni ’70.
Nonostante il dilagare della disoccupazione, la crescita negativa e la depressione generale nel Vecchio Continente ed in particolare nei paesi della fascia mediterranea, non si sono avute sollevazioni popolari a carattere democratico simili a quelle tunisine che anticiparono la primavera araba. Ma è proprio di questo che c’è bisogno oggi per avviare un ricambio della classe politica e dirigente, senza il quale si rischia il collasso. Perché questa inerzia delle popolazioni che pagano i costi della crisi restano attonite, paralizzate ? La prima riposta è semplice e va ricercata nelle strategie propagandistiche impiegate dalla classe politica e dalla burocrazia di Bruxelles che usano apertamente e sfacciatamente l’arma della propaganda che confonde i cittadini.
L’ultimo coniglio dal cappello propagandistico è saltato fuori dal summit di fine giugno 2012, che doveva rappresentare la svolta storica dell’Unione Europea, capace di evitare alla Spagna e all’Italia  un destino simile alla Grecia : il Fondo Salva Stati e il Meccanismo di Stabilità:
-innanzi tutto considerare i loro prestiti analogamente a quelli erogati dal settore privato, non garantisce che verranno ripagati in pieno;
- da dove arriveranno poi i soldi necessari? Secondo gli accordi il 30 per cento dei finanziamenti arriverà dalla Spagna e dall’Italia; cioè quasi un terzo dei soldi che dovrebbero aiutarli a difendersi da <<ipotetici attacchi speculativi>> proverrà dalle loro finanze. Quindi aumenterà il loro debito sovrano invece di ridurlo. Inoltre il Meccanismo di Stabilità avrà un capitale massimo di 500 miliardi di euro, a fronte di un debito complessivo di Spagna e Italia di 2700 miliardi di euro, per cui si dovrà trovare un accordo che permetta alla Banca Centrale Europea (BCE) di stampare denaro e agire da creditore dell’ultima spiaggia, altrimenti il Meccanismo di Stabilità non servirà a nulla.
Il nocciolo della questione è che i fondi non ci sono. L’idea è che questa istituzione si autofinanzi vendendo obbligazioni sul mercato dei capitali. Che significa? Che ci si indebiterà ulteriormente per pagare un debito che vogliono inestinguibile, per ipotecare ancora di più le sorti e il futuro delle loro popolazioni che dovranno ripagarlo.
La politica neoliberista di austerità perseguita fino ad ora mira a imporre ai Paesi fortemente indebitati una forte deflazione interna : diminuisce la spesa pubblica, si riducono i salari, scende il consumo e così via in modo che il tenore di vita della fascia mediterranea si abbassi. Contemporaneamente si chiede alla Germania di inflazionare la propria economia, per esempio aumentando i salari per fare crescere il tenore di vita. Seguendo questo modello, i Paesi fortemente deficitari si impoveriscono e quelli più ricchi, che sono anche i loro creditori. 
Ma dove nasce la crisi del debito sovrano che attanaglia i paesi europei della fascia mediterranea ? E’ a partire dal credito immobiliare che è scoppiata l’ultima crisi finanziaria. Non nasce in Europa, bensì con la crisi dei subprime in USA,
La logica del debito/credito è una logica politica di governo delle classi sociali all’interno della globalizzazione e la gestione dei subprime lo dimostra .
Il problema del debito slittato dal debito privato al debito sovrano degli Stati. Chi pagherà le montagne di debiti accumulati per salvare le banche e il sistema di potere dell’economia del debito?
Lo stiamo vedendo sulla nostra pelle, nei paesi europei della fascia mediterranea con la crisi del debito sovrano degli Stati..

LE BANCHE, L’ALTA FINANZA E LA CRISI


La finanziarizzazione dell’economia, ha fatto si che i guadagni maggiori della finanza occidentale provengano non dall’investimento reale, bensì da quello creditizio, cioè si guadagna dando soldi in prestito e smerciando il debito, tramite le obbligazioni che sono un mercato di gran lunga superiore aquello dell’economia reale mondiale.
Un secolo fa si investiva in infrastrutture ( strade,ferrovie,cantieri navali ecc) oggi si investe in titoli del debito pubblico e privato, ritenuti meno rischiosi, dato che quando lo sono, come nel caso oggi dei Paesi con un alto deficit di bilancio nella crisi del debito sovrano, si impongono tassi di interesse più alti e politiche neoliberiste di taglio di salari, pensioni, occupazione, servizi sociali e privatizzazioni.
Fino alla crisi del debito sovrano, le emissioni di Stato più popolari erano i titoli di Stato, dai nostri Bot alle obbligazioni del Tesoro americano.Il debito sovrano era diventato una sorta di marchio doc..
Anni Novanta e anni Duemila : Lehman Brothers sbarca in italia con l’obiettivo di vendere prodotti della finanza strutturale per estrarre dai bilanci denaro liquido, dietro laute commissioni. Tutti comprano, anche i conventi di suore. Le Asl, le Aziende Ospedaliere, sono a corto di contanti, pagano i fornitori a 24 mesi e non sanno più dove trovare i soldi; Lehman Brothers (LB), crea obbligazioni sulla loro spesa, presentandole come titoli obbligazionari con garanzia della Stato. Si tratta della <<cartolarizzazione>> del debito che va a incidere sui bilanci delle Regioni e dello Stato.
In Campania, ad esempio, LB acquista debiti per cinque anni fino al 2007, per un valore di 2,7 miliardi di euro e gli enti si impegnano a ripagali dopo 10 anni. Il rischio per LB è zero, ha venduto tutte le obbligazioni all’asta e il guadagno è alto, intasca una commissione sulla creazione del prodotto e sulla vendita titoli, in più percepisce il tasso d’interessesul debito contratto dagli enti. Sarà il Tesoro a ripagarlo alla scadenza, cioè dopo 30 anni, o meglio i nostri figli e nipoti. Chi rischia  è chi ha questi titoli in portafoglio, principalmente fondi pensione e d’investimento italiani.
Per il Tesoro l’operazione è meno conveniente, a cominciare dai tassi di interesse. L’emissione privata costa il Libor, il tasso applicato al rischio Italia, più il 3 per cento. Se l’avesse fatto il Tesoro il tasso aggiuntivo sarebbe stato dell’uno per cento e gli Enti non avrebbero dovuto pagare le commissioni alla LB. Non l’ha fatto per non fare crescere il debito pubblico, usando lo stratagemma della banca d’affari, l’indebitamento di un’istituzione statale si trasforma in debito privato e non compare nei bilanci statali. Da bilancio insomma non risulta che i nostri figli e nipoti sono indebitati per i prossimi trent’anni.
Per di più sempre in campania per coprire il costo del debito si è ricorso all’aumento dell’Irap, l’l’Imposta regionale sulle attività produttive. Cioè hanno penalizzato la produzione a vantaggio della finanza.
Per inciso il nostro debito pubblico è molto più grande di quello dichiarato ufficialmente. Idem per la Grecia e nessuno ne conosce le dimensioni reali
Dato che questo tipo di operazioni finanziarie le grandi banche d’affari le hanno vendute a tutti i Paesi con deficit di bilancio pubblico, il loro debito complessivo è molto più grande di quello che pensiamo e che ci dicono.
Scorporare dai bilanci i debiti ha favorito ladrocini e sprechi, che oggi la popolazione italiana ed europea deve pagare.
Se le banche hanno architettato la falsificazione dei bilanci dello Stato in combutta coi politici di turno, non è giusto che siano loro a pagarne le conseguenze piuttosto che il contribuente?
In conclusione : abbiamo governi checon la complicità delle banche e dell’alta finanza hanno derubati chi li ha eletti, per poi ignorane le istanze e aggravare i problemi. L’Unione Europea , non ha controllato e fa pagare la crisi alle popolazioni.
Attraverso il del debito sovrano, l’uomo indebitato rischia di diventare la condizione economico-esistenziale più diffusa al mondo.
Cosa comporta la nascita e lo sviluppo dell’uomo indebitato? In questo senso con l’ultima crisi finanziaria viviamo un una svolta decisiva. Le battaglie che un tempo si svolgevano intorno al salario, oggi sembrano avere luogo intorno al debito e soprattutto al debito pubblico, che rappresenta una sorta di salario socializzato. Infatti , le politiche neoliberiste di austerità si concentrano e passano fondamentalmente per la restrizione di tutti i diritti sociali ( pensione,sanità,disoccupazione, ecc) e per la riduzione dei servizi, degli impieghi nel pubblico e dei salari dei funzionari, nella prospettiva dell’uomo indebitato.
Il Wellfare operava contemporaneamente sulla vita degli utenti e come viatico riformista di ridistribuzione del reddito e accesso a una molteplicità di servizi e di diritti. Oggi, che la strada riformista è bloccata, resta solo il controllo attraverso la politica del debito.. Da strumento di riformismo del capitale, il Wellfare diventa mezzo di istituzione di regimi totalitari. Lo Stato ha cambiato funzione. In queste condizioni il NewDeal è semplicemente impossibile, perché non si tratta affatto di equilibrio economico, di imperativi economici, ma di una politica totalizzante e di individualizzazione del controllo autoritario dell’uomo indebitato.


LA CRISI DEI SUBPRIME IN USA

                                                   L’INIZIO DELLA CRISI
La crisi dei subprime non è soltanto una crisi finanziaria : segna anche il fallimento del programma politico neoliberista e del modo di governo fondato sull’impresa e l’individualismo proprietario e patrimoniale.
Nella sua genealogia e sviluppo, la crisi dei subprime mostra il funzionamento di un blocco di potere in cui l’economia <<reale>> e la <<speculazione>> finanziaria sono indivisibili. Mentre l’economia << reale>> impoverisce i governati in quanto <<salariati>> ( blocco dei salari, precarietà ecc) e in quanto detentori di diritti sociali ( riduzione ei sostegni al reddito, diminuzione dei servizi pubblici, dei sussidi di disoccupazione, delle borse di studio per gli studenti ecc), la finanza promette di arricchirli con il credito e l’azionariato.
Nessun aumento di salari diretti o indiretti ( pensioni), ma crediti al consumo e spinta alla rendita finanziaria (fondi pensione, assicurazioni private); nessun diritto all’alloggio, ma prestiti immobiliari; nessun diritto alla secolarizzazione, ma prestiti per pagare gli studi; nessuna garanzia sociale contro i rischi ( disoccupazione, sanità, pensione), ma investimenti nelle assicurazioni individuali.
Se come utenti da un lato devono guadagnare e spendere il meno possibile, dall’altro come consumatori devono spendere il più possibile per smaltire la produzione. Ma nel capitalismo contemporaneo utente e consumatore coincidono. La finanza pretende di governare questo paradosso tramite i crediti subprime : ridistribuire redditi, tagliando senza intaccare i profitti, riducendo le imposte ( soprattutto ai ricchi e alle imprese), tagliando salari e spese sociali. In questa situazione per arricchire tutti non resta altro che il ricorso al credito : <<hai un salario basso, non c’è problema! Indebitati per comprare una casa, il suo valore aumenterà e ti garantirà altri prestiti>>. Ma non appena i tassi di interesse aumentano, questo meccanismo di <<distribuzione>> dei redditi attraverso il debito e la finanza, crolla.
L’esplosione del mercato immobiliare e del credito facile sono stati due modi per tranquillizzare i lavoratori e la classe media e per farli aderire al programma neoliberista, poi hanno capito che era una strategia di Wall Stret per sottrargli fino all’ultimo dollaro di patrimonio. Ma ormai era troppo tardi, perché la casa era la loro ultima risorsa patrimoniale in caso di necessità. Una casa ipotecata che non hanno più.
La logica del debito/credito è una logica politica di governo delle classi sociali all’interno della globalizzazione e la gestione dei subprime lo dimostra .
Negli USA con la crisi dei subprime nasce l’attuale crisi finanziaria ed è negli USA , epicentro della crisi e culla del neoliberismo, che le politiche neoconservatrici rischiano riandare al fondo della propria logica, approfittando della crisi finanziaria.
Tra il 2001 e il 2004, negli Stati Uniti, la crescita del 10 per cento del Pil è stata possibile unicamente perché misure di rilancio dell’attività hanno iniettato nell’economia 15,5 punti di Pil : riduzione dell’imposizione di 2,5 punti del Pil, credito immobiliare passato da 450 a 960 miliardi di dollari ( 1300 prima della crisi del 2007), aumento delle spese pubbliche di 500 miliardi
Un americano su cinque è senza lavoro o sottopagato. Un credito immobiliare su otto sfocia in un pignoramento. Un americano su otto vive di buoni pasto. Ogni mese , circa 120.000 famiglie dichiarano fallimento. La crisi economica ha fatto piazza pulita  di oltre 5.000miliardi di dollari di fondi pensione e risparmi. Parallelamente massicci tagli di bilancio si sono abbattuti su molti servizi pubblici. Almeno 45 Stati hanno tagliato servizi fondamentali per i più deboli : bambini, anziani, portatori di handicap, malati, senza tetto. Per non parlare degli studenti, bersaglio sistematico.
La California ha soppresso un programma di assistenza alle famiglie in stato di necessità : 1,4 milioni di persone, di cui due terzi bambini.Il Maine ha ridotto drasticamente le borse di studio e i fondi per i senza tetto. L’Alabama ha abolito i servizi che permettevano di restare a casa propria piuttosto che andare in casa di cura. Il Michigan,il Nevada, la California e lo Utah hanno soppresso i rimborsi delle spese dentistiche e oftalmologiche ai beneficiari di Madicaid , l’assicurazione sanitaria dei più poveri. Si potrebbe continuare l’elenco.
Il democratico Obama si vanta di avere negoziato il più importante taglio alle spese sociali mai realizzato negli Stati Uniti.. Nel novembre 2010 ha concluso un accordo col Congresso, ormai a maggioranza repubblicana, per prolungare di due anni le riduzioni fiscali concesse da Bush alle fasce più ricche della popolazione, estendendole anche a quelle con un reddito superiore a 250.000 dollari. In cambio di qualche spicciolo ai disoccupati ha regalato 315 miliardi di dollari in due anni ai più ricchi.
Nel 2011 gli USA perdono la valutazione della AAA da parte della agenzia di rating Standard & Poor
Nel febbraio 2011 migliaia di contestatori hanno manifestato, per tre giorni a Madison, capitale del Wisconsin, contro il progetto del governatore, che consentiva di risparmiare 300 milioni di dollari in due anni ( il deficit di bilancio dello Stato è di 5,4 miliardi) , congelando parzialmente, per via legislativa, i salari dei dipendenti pubblici, di ridurre le loro pensioni e di annullare una serie di diritti sindacali, non ultimo degli obiettivi dei politici dell’austerità in tutto il mondo.
Il premio nobel Stiglitz riferisce che l’un per cento della popolazione americana controlla il 40 per cento della ricchezza nazionale, mentre venticinque anni fa il 12 per cento dei più ricchi possedeva il 33 per cento del patrimonio del Paese. Cosa è successo?
E’ successo che quasi tutti i senator e gran parte dei membri del Congresso, appartengono a quell’uno per cento dei più ricchi, assieme ai finanziatori delle loro campagne elettorali.Non c’è da meravigliarsi quindi quando le società farmaceutiche ricevono in dono di mille miliardi di dollari attraverso una legge che proibisce allo Stato, il loro maggior cliente, di negoziare i prezzi di acquisto.
Va così in frantumi il sogno americano, il mito di una nazione, quello dell’eguaglianza.  

LA GRECIA NELLA CRISI DEL DEBITO SOVRANO


La Grecia nel 1965 piomba nell’instabilità politica che apre le porte alla dittatura dei colonnelli e al colpo di Stato nell’aprile del ‘67, appoggiato dal governo americano. La politica economica dissennata della giunta e la rivolta degli studenti del Politecnico di Atene provocano un altro colpo di stato che istaura di fatto una dittatura, che crolla con l’invasione della Turchia dell’isola di Cipro, nel luglio ’74.
La crisi greca inizia alla fine degli anni ’90 , con i vincoli imposti dal trattato di Maastricht per entrare nella moneta unica, che difficilmente i Paesi con grossi deficit potranno rispettare. Ma la moneta unica si deve fare a costo di alterare i bilanci degli Stati. Ai Paesi ricchi come la Germania e la Francia, la debolezza intrinseca dell’euro, che vale meno del marco e del franco, fa comodo perché rende più competitivi i loro prodotti e infatti la Germania oggi è il secondo esportatore al modo dopo la Cina.
Anche ai Paesi mediterranei la moneta unica fa gola, perché permette loro di accedere al mercato dei capitali a tassi più bassi, grazie all’emissione di obbligazioni in euro.Tutti sanno che questi Paesi non potranno più ricorrere alla svalutazione delle loro monete nazionali, per aumentare la loro competitività. Si truccano i bilanci degli Stati e nessuno a Bruxelles controlla.
Quando nel 2009 l’Eurostat , l’ufficio di statistica dell’UE,ricalcala il deficit del bilancio gre, ci si accorge che in quell’anno è pari al 12 per cento del Pil, più di quattro volte il limite imposto da Maastricht. Il problema è che le banche d’affari sfornano continuamente una varietà infinita di prodotti per aggirare i limiti imposti dalla UE, falsificando di fatto i bilanci.
Nella seconda metà degli anni ’90 vengono smerciati i currency-swaps, un tipo di derivati il cui scopo è occultare un prestito attraverso la trasformazione di un debito presente, in una passività futura. Da Goldam Sachs a J.P. Morgan, dalla Deutsche Bank al Credit Lyonnais, tutti i principali istituti di credito vendono questo prodotto. Il costo di questi sofisticati giuochi è alto, ma lo Stato lo maschera nelle commissioni bancarie.
Da anni la super deficitaria Grecia spende più del 2,5 per cento del Pil, per armarsi contro nemici immaginari; è il principale importatore continentale di armi convenzionali, con il rapporto tra spese militari e Pil più alto in tutta la UE. Tra il 2000 e il 2010 ha speso in armi, sottomarini e caccia 16 miliardi di euro, quasi il doppio di quelli elemosinati a davos nel 2009. ta i più importanti fornitori militari ci sono imprese francesi etedesche. Poche settimane prima che venga varato il prestito europeo di 110 miliardi di euro, nel 2010, l’agenzia reuters dà la notizia di pressioni  dei governi francese e tedesco per l’acquisto di fregate, elicotteri e caccia francesi, per un valore superiore a 13 miliardi di euro e un pagamento di 2,8 miliardi di dollari per tre sottomarini tedeschi. Parte dei soldi per salvare la Grecia dalla bancarotta, finiranno dunque nei bilanci dell’industria bellica francese e tedesca.
Il precariato è stato istituzionalizzato sin dal 2001. Il settore pubblico è il primo datore di lavoro e da prima del 2010 non ha i soldi per continuare ad esserlo, perché le entrate non coprono le spese.
A gennaio 2010 Atene chiede un prestito per un debito di 9 miliardi di euro,ma a Davos i politici fanno solo vaghe promesse, peraltro rinnegate al rientro in patria per non scontentare il loro elettorato. Soluzione: il Paese si indebita con le banche, finchè i mercati decidono di chiudere la borsa nel 2010. A quel punto interviene Bruxelles, con un primo prestito di 110 miliardi di euro e poi con altri 109 miliardi a fine luglio 2011, a cui vanno aggiunti altri 50 miliardi in debiti posticipati da parte del settore privato. Secondo Bruxelles questo dovrebbe consentire una ripresa economica nel Paese a crescita negativa da almeno cinque anni, il cui gettito fiscale non copre tutta la spesa pubblica e che ha un debito pari alo 142 per cento del Pil. Un’illusione.
Dei 109 miliardi di euro stanziati col cosiddetto Piano Marshal europeo, la Grecia ne riceverà solo 34; gli altri 75 finiranno nei forzieri delle banche che hanno in portafoglio il debito greco, serviranno a garanzia della dilazione del pagamento di titoli pari a 54 miliardi. Vuol dire che per convincere il settore privato a emettere nuove obbligazioni, bisogna offrirgli una garanzia che trasformi i titoli spazzatura in obbligazioni AAA. Se la Grecia non paga e va in bancarotta fungeranno da compensazione per i creditori
Ufficialmente , ad agosto 2011, Atene deve ripagare 6 miliardi di euro che non ha; nel 2012 ci sono altri 30 miliardi da restituire. Da dove arriveranno quei soldi se il Paese è a crescta negativa e non ha più accesso al mercato del credito? La risposta sono i 35 miserabili miliardi di euro del cosiddetto Piano Marshal visto prima.
Questa manovra riporterà il debito greco esattamente dov’era quando la crisi è scoppiata nel 2010. Cioè non cambia assolutamente nulla. Ci vogliono altri prestiti e una seconda manovra.
Atene - dopo avere abbassato nel 2010 i salari, aumentato l’età pensionabile, bloccato le pensioni, aumentato l’Iva- mette in atto, su richiesta della UE e del FMI, una seconda manovra  che prevede 6 miliardi di euro di tagli nel 2011, 26 miliardi tra il 2012 e il 2015, privatizzazioni (l’azienda elettrica, la lotteria, il vecchio aeroporto di Atene, alcuni porti e marine) equivalenti a 50 miliardi di euro; un aumento settimanale del lavoro dei dipendenti statali di 2 ore e mezza e la soppressione di 200.000 posti di lavoro el settore pubblico. Nel 2010, 120.000 negozi hanno chiuso; nel 2011 è stata la volta di 6.000 ristoranti, a fronte di una diminuzione dell’affluenza dl 54 per cento. Tutto ciò che vale qualcosa deve essere svenduto. Che le entrate per lo Stato diminuiscano proporzionalmente non preoccupa UE e FMI. La sola cosa che importa e che i creditori ( e soprattutto le banche francesi e tedesche che, detenendo titoli del debito greco, si vedranno salvate una seconda volta dal denaro <<pubblico>>) vengano rimborsati.. Con questo nuovo “aiuto” il debito della Grecia è passato dal 150 al 170 per cento del Pil.Un economista americano , John Coffee, svela cosa ci sia dietro il salvataggio della Grecia : la grecia rischia il fallimento e la BCE vuole evitarlo per salvare le banche tedesche e francesi, che ne subirebbero le conseguenze. Se, al contrario, fosse l’Italia a essere in fallimento, l’onere maggiore sarebbe toccato alle famiglie e non alle banche europee. I mercati lo sanno bene e si comportano di conseguenza.
I mercati lo sanno mentre i giornalisti ,apparentemente, lo ignorano. Immaginiamo cosa succederebbe se i media avessero il coraggio di dire la verità, sostituendo ogni volta <<salvataggio della Grecia>> con << salvataggio delle banche francesi e tedesche>> : ci troveremmo in tutt’altro quadro politico.  
Intanto la società civile è accampata nelle pubbliche piazze contro li piani d’austerità del governo;i giovani fanno circolare su You Tube le immagini degli scontri tra polizia e manifestanti che assediano il Parlamento, contro i <<saldi>> patrimoniali del loro paese. Hanno ragione. Infatti lo stesso FMI ha ammesso che dalla primavera del 2010 e quella del 2011 l’economia greca si è contratta del 9,4 per cento e nel secondo trimestre del 6,9 per cento. Motivo? La politica di austerità ha strangolato la crescita.
I greci non sono in grado di ripagare i debiti accumulati dalla classe dirigente e il loro futuro rischia di essere deciso dalle banche di Pesi stranieri. I politici greci hanno mentito alla popolazione, hanno usato il falso benessere per essere rieletti e ridistribuire ricchezza tra le èlite che li sostengono. La moderna tragedia greca quindi è frutto del malgoverno, degli abusi, della cattiva gestione dello Stato, con la complicità del FMI e dell’Unione europea.
Il debito greco è ingestibile o meglio inestinguibile e nessuno ne conosce le dimensioni reali e lo stesso discorso vale per l’Italia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda…
Nei Paesi del Sud Europa la disoccupazione è il triplo rispetto al Nord, in Olanda e Germania, quella giovanile è inferiore al 10 per cento, con l’eccezione del Regno Unito al 18,5 per cento e la deficitaria Irlanda. In Italia all’inizio del 2011 era , secondo i dati ufficiali sicuramente per difetto, del 29 per cento, con punte al Sud fino al 50 per cento, in Spagna superava il 40 per cento e in Grecia era del 39,6 per cento.
In Grecia la corruzione e le tangenti hanno sottratto all’erario pubblico l’equivalente del 8 per cento del Pil, oltre 20 miliardi di euro, abbastanza per evitare lo scoppio della crisi del debito sovrano e quella dell’euro.
E’ però l’Italia ha avere il triste primato della corruzione. Trasparency International la inserisce nella hit parade dei 21 Stati al mondo le cui imprese corrompono di più i pubblici ufficiali; non dimentichiamoci che il PSI  craxiano voleva istituzionalizzare le tangenti al 3 per cento. In italia l’economia illegale è talmente diffusa  e pervasiva da fornire al Paese la liquidità necessaria per non affondare.
In conclusione è bene ricordare che la Grecia viene mantenuta sull’orlo della bancarotta per un ritardato prestito chiesto  a Davos nel gennaio 2010, di 9 miliardi di euro.

LA SPAGNA NELLA CRISI DEL DEBITO SOVRANO

I giovani che affollano le piazze europee appartengono alla generazione “millenium”; la delocalizzazione di gran parte della produzione in Asia, nelle Zone di Produzione Esportazione, analizzate dalla Klein in <<No Logo>>, li ha esclusi dal sistema produttivo. Esistono in funzione di ciò che consumano. La loro condizione di precari li rende invisibili in molte voci dello Stato, dalla pensione all’assistenza sanitaria; il loro unico ammortizzatore sociale è la famiglia. Secondo l’ultimo rapporto Istat in Italia più di due milioni di giovani tra i 25 e i 34 anni, il 47 per cento,  vivono con la famiglia senza lavorare né studiare. Gli spagnoli li chiamano <<generazione mille euro>> i francesi <<generation precarie>>, i greci << generazione 700 euro>> e gli italiani
<< generazione P>> ( dove P sta per precari); appartengono tutti alla generazione più istruita del Mediterraneo.
Soltanto in Spagna si calcola che ci siano dieci milioni di precari, una stima per difetto.
Secondo l’Instituto Nacional de Estatistica, nel 2002 il salario medio era di 19.802 euro, nel 2006, prima della crisi dunque, era sceso a 19.680, nel 2011 la metà guadagna meno di 15.760 euro
 Nel 1995 il salario medio spagnolo era 16.762 euro, nel 2011 al netto dell’inflazione equivarrebbe a 24.000 euro.
Prima dello scoppio della crisi del debito sovrano, oltre il 30 per cento dei giovani compresi tra i 18 e i 24 anni era disoccupato in Grecia, Francia e Portogallo. Oggi sono ben di più.
Non a caso gli Indignados nascono in Spagna. Dei 6 milioni di lavoratori assorbiti dal 1997 al 2010, la metà di chi ha tra i 18 e i 35 anni è ancora precario, 3 milioni su una popolazione attiva di 23 milioni.. Il 26 per cento di questi giovani vive ancora coi genitori. Il numero dei ragazzi che possiede un’indipendenza economica è sceso dal 24 per cento nel 2004 al 21 per cento nel 2008; di oggi non si hanno i dati, ma sicuramente sono ancora di meno. Si tratta di un fenomeno generale in tutto l’Occidente. All’inizio del 2011 la disoccupazione giovanile eradel 29 per cento in Italia, in Grecia del 39,6 e in Spagna superava il 40 per cento
Nel 2007 il ministro Padoa Schioppa li definì <<bamboccioni>>. Un insulto e un errore concettuale perchèquesti ragazzi sono le vittime non non la causa dei nostri fallimenti. Nel 2009 il nano Brunetta suggerisce di cacciarli di casa e poi di sottrarre 500 euro ai pensionati per dargli una sorta di paghetta; nel 2011 li apostrofa << Siete la peggiore parte dell’Italia>>.
Zapatero , che dal 2008 in poi ha seguito una politica di espansione della spesa pubblica per sostenere l’economia e mantenere il sussidio di disoccupazione più alto d’Europa, nel 2011 è costretto a tagliarla e a fare la Reforma Laboral che, trale altre cose, innalza l’età pe la pensione da 65 a 67 anni.dalla BCE e dal FMI. Risultato l’economia si è contratta.

LA FRANCIA NELLA CRISI

La Francia, a partire dagli anni 2000 recupera velocemente il ritardo sugli USA per le politiche fiscali favorevoli ai ricchi e in particolare ai super ricchi e alle imprese.
La legge Tepa del 2007 che avrebbe dovuto favorire il lavoro, l’impiego e il potere d’acquisto…produce invece una riduzione fiscale senza precedenti sulle successioni e le donazioni; nel 2010, lo scudo fiscale che permette a 925 contribuenti , con un patrimonio superiore ai 16 milioni di euro, di guadagnare dal fisco in media 381.000 euro.
Nella primavera del 2011 il dibattito sui beneficiari di sussidi e sull’imposta sul patrimonio porta all’applicazione di una <<doppia pena>> ai beneficiari del Reddito minimo di solidarietà (400 euro al mese)che, in quanto colpevoli della loro situazione, dovrebbero rispettare i << doveri>>che gli vengono imposti (obbligo di controllo individuale e di accettare qualunque offerta di impiego dopo avere rifiutato due volte) e fornire , inoltre, lavoro gratuito. Contemporaneamente il governo stacca un assegno di vari miliardi di euro ai contribuenti dell’Isf(Imposta di solidarietà sul patrimonio)riducendo quasi di un quarto l’imposta sul patrimonio dei più ricchi ( il tasso applicabile oltre i 17 milioni di euro, passa dall’1,8 allo 0,5 per cento !). Le nicchie fiscali, che costituiscono un ulteriore dispositivo di <<assistenza>> ai ricchi, rappresentano tra il 60 e gli 80 miliardi di euro l’anno, offerte senza alcuna contropartita, né in termini di doveri né in termini di <<lavoro socialmente utile>>. Miliardi di cui le classi sociali più disagiate dovranno farsi carico.

LA GERMANIA E LA CRISI : UN MODELLO DA SEGUIRE?


Le leggi Harzt
Daniel Cohn Bendit ha chiesto alla Merkel << Come è possibile che un paese ricco come la Germania abbia il 20 per cento di poveri?>>. Ipocrita. Da 10 anni la Germania porta avanti politiche di flessibilizzazione e precarizzazione del mercato del lavoro e di rigidi tagli allo stato sociale.
Tra il 2000 e il 2005 il governo “ rosso-verde” di Schroder  introduce la gran parte delle leggi all’origine della situazione attuale : quelle di un “pieno impiego precario”che trasformano disoccupati e inattivi in working poors, con quattro riforme dell’assistenza alla disoccupazione e del mercato del lavoro ( legge Harzt ). Nel 2003 la legge Harzt II introduce i contratti << mini-job>>, una sorta di contratto del lavoro al nero legalizzato ( niente contribuzione sociale per i datori di lavoro, nessuna garanzia agli assunti, né copertura per la disoccupazione, né pensione) e quelli << midi-job>> ( salario tra 400 e 800 euro), spingendo tutti a farsi imprenditori della propria miseria. Nel 2004 Harzt III ristruttura le agenzie per l’impiego, per intensificare il controllo dei comportamenti e della vita e l’accompagnamento dei lavoratori poveri. Dopo di che vara una serie di leggi per “ produrli”.
Il I gennaio 2005 la legge Harzt IV prevede :
-Riduzione della durata di indennità da tre a un anno, obbligo di accettare qualunque lavoro proposto. Per il diritto al sussidio di disoccupazione occorre avere lavorato almeno un anno nei due anni precedenti la perdita dell’impiego. Dopo un anno di sussidio il disoccupato percepisce l’aiuto sociale ( reddito di solidarietà) di 374 euro a persona se era precario o l’indennità di disoccupazione se era mal pagato
- Riduzione delle indennità per i disoccupati di lunga durata che rifiutino di accettare lovori sotto-qualificati
- I disoccupati devono accettare lavori ad un salario di 1 euro l’ora, addizionale al sussidio disoccupazione che percepiscono
- Possibilità di ridurre gli indennizzi dei disoccupati che hanno dei risparmi, con accesso ai loro conti bancari. Possibilità di valutarne lo standard dell’alloggio e di richiederne un trasferimento.
I beneficiari dell’aiuto sociale di Harzt IV sono stimati in 6,6 milioni, di cui 1,7 milioni bambini e 4,9 adulti working poors che lavorano meno di 15 ore settimanali.Nel maggio 2011 le statistiche ufficiali dichiarano cinque milioni di contratti mini-job, con un aumento del 47,7 per cento, preceduti solo dal boom dell’interinale (+134 per cento).
Si tratta di forme di contratto molto diffuse anche tra i pensionati : 660.000 cumulano pensione a un mini-job. Nel 2010 il 21,7 per cento della popolazione è assunta part-time. Nel gennaio 2012 secondo il rapporto << Ombre e luci sul mercato del lavoro>> << Il numero degli impieghi cosiddetti atipici-part time a meno di 20 ore settimanali tra il ’91 e il 2020 è aumentato di 3,5 milioni, mentre quello degli attivi con un impiego regolare è precipitato di 3,8 milioni.>>
Nel 2010 secondo l’università di Duisburg-Essen , oltre 6,5 milioni di persone ricevono meno di 10 euro lordi l’ora, con un aumento di 2,26 milioni in dieci anni; per la maggior parte sono vecchi disoccupati “ attivati”; quelli con meno di 25 anni, gli stranieri e le donne (69 per cento del totale)
Nell’oltre-Reno 2 milioni di occupati guadagnano meno di 6 euro all’ora, nell’ex Repubblica democratica tedesca molti tirano avanti con meno di 4 euro l’ora, cioè 720 euro al mese a tempo pieno.
Durante la crisi finanziaria il governo è ricorso massicciamente alla disoccupazione parziale che consente all’impresa di pagare solo il 60 per cento della retribuzione e la metà dei contributi sociali. Rispetto al PIL, dal 2002, la quota dei salari è scesa del 5 per cento oltre-Reno.
L’età della pensione è stata aumentata da 65 a 67 anni. L’aspettativa di vita dei più poveri, che arrivano solo al 75 per cento del reddito medio, è passata da una media di 77,5 anni nel 2001 a 75,5 anni nel 2011. ei Lander dell’Est del paese da 77,9 anni è scesa a 74,1 anni. Nella ex Germania dell’Est l’aspettativa di vita è di 66 anni, un anno prima del diritto alla pensione ! Mors tua vita mea ! Poco importa , l’economia è sana, i creditori si abbuffano, le <<agenzie>> di rating danno giudizi positivi e l’aspettativa di vita  dei più ricchi continua ad aumentare.
Secondo una ricerca di McKinsey la classe media è in via di estinzione. Nel 2000 era pari al 62 per cento della popolazione, nel 2010 era scesa al 54 per cento e nel 2020 si prevede che sarà inferiore L 50 . Causa principale la sperequazione dei redditi..
Naturalmente l situazione nel Sud Europa è molto peggiore : la classe media, che guadagna tra i 20.000 e i 60.000 euro all’anno, corrisponde al 43 per cento della popolazione, ben 18 punti in meno rispetto agli anni ’80, mentre un quarto della popolazione appartiene alla classe popolare e un buon 20 per cento è scivolata sotto la soglia della povertà, con un aumento delle domande d’aiuto alle Caritas, del 40 per cento in Spagna.
Uno dei motivi è il dislivello tra la crescita dei salari e quella del Pil; secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, dal 2001 al 2007, e quindi prima della crisi  del credito, sono cresciuti meno del 2 per cento, meno del tasso di crescita del Pil. Che significa? Che la ricchezza creata non viene ridistribuita ma finisce nelle tasche di pochi.
La crescita del Pil tedesco tra il 2000 e il 2006 è stata di 354 miliardi di euro. Ma se paragonata ai numeri del debito nello stesso periodo ( 342 miliardi), il risultato reale è una << crescita zero>>
La Germania è il primo dei paesi europei a seguire gli USA sulla strada del progresso liberista.
Fare della povertà e della precarizzazine una variabile strategica della flessibilità del mercato del lavoro è quanto, dietro il ricatto del debito, sta avvenendo in Italia, Portogallo, Grecia, Spagna, Inghilterra e Irlanda. L’europa sta marciando a tappe forzate verso il modello USA del libero licenziamento. Il governo spagnolo  approva nel febbraio 2012 leggi che riducono i salari,facilitano i licenziamenti, riducono l’indennità di disoccupazione da 42 a 24 mensilità, facilitano i licenziamenti per ragioni finanziarie, con una cassa integrazione limitata a 12 mensilità. : è sufficiente che l’azienda abbia tre semestri consecutivi di ribasso di vendite, anche se continua a fare profitti. Già dopo tre trimestri di ribasso delle vendite, le imprese possono imporre ribassi di salario unilaterali. Il rifiuto comporta il licenziamento.
Vi ricorda qualcosa?In Italia l’art. 8 della Foriero e le pretese di Marchionne, o no
Per capire chi decide del destino di intere nazioni, in Germania, la locomotiva d’Europa, nel primo trimestre del 2011, la Deutsche Bank, tra i detentori di una considerevole fetta del debito greco, riporta profitti pari a 3,5 miliardi di euro, circa 10 miliardi annui. Guadagni record destinati a salire a circa 12 miliardi nel 2012. Questo mentre Grecia, Spagna, Italia, Portogallo e Irlanda rischiano la bancarotta per i debiti contratti con le banche internazionali tra cui la Deutsche Bank. Secondo Ackerman, amministratore delegato della banca, << E’ l’ora di portare a casa il raccolto>>, cioè i risparmi, le tasse, i sacrifici, l’austerità,  di americani ed europei della fascia mediterranea. Tutto questo dopo che il governo degli Stati Uniti ha citato in giudizio la Detsche Bank per avere gonfiato la bolla speculativa dei subprime.
I banchieri come Ackerman, che si incontrano a Davos, hanno in tasca le chiavi della cassaforte, decidono chi può accedere ai mercati finanziari, a quali condizioni e chi no. Solo che la cassaforte non appartiene ad un privato, ma a una nazione, dunque a un popolo. La cassaforte è la nostra.
Insieme alle agenzie di rating, quelle che il giorno in cui la Lehman è crollata continuavano a darle AAA, le banche internazionali, possono distruggere o salvare dallo sfacelo una nazione
Sono i cardini del sistema finanziario internazionale su cui poggia il regime politico occidentale corrotto e oligarchico.. Negli ultimi vent’anni tutti i Paesi occidentali, sono diventati dipendenti dal mercato internazionale dei capitali. Se non può attingervi, lo Stato si ferma.
Non a Washington o a Bruxelles , ma nel club esclusivissimo frequentato dall’alta finanza e dalle agenzie di rating, dove si entra solo se si appartiene allo 0.1 per cento dei super ricchi del pianeta, si decidono le sorti del mondo. Nessun governo può sfidarli. Questi individui sono al di sopra delle leggi 
Sfidare i sacerdoti dell’alta finanza vuol dire essere disposti ad invertire la rotta, e cioè fare a meno del credito e a non pagare il debito. E’ possibile. E’ la via imboccata dall’Argentina e dall’Islanda.

L’ISLANDA : UN MODO DIVERSO DI USCIRE DALLA CRISI

 Nella tarda primavera del 2011 l’Islanda rastrella sui mercati dei capitali un miliardo di dollari a poco più del 3 per cento. Nel 2008 ha scelto la strada della bancarotta contro il parere del FMI, è riuscita a ristrutturare un debito mille volte superiore al proprio Pil, perché ha ritenuto che l’idea di difenderlo era ridicola e ha rifiutato ,quindi, di imporre sacrifici impossibili alla popolazione.
La popolazione ha messo le redini del paese in mano alle donne.
La popolazione chiese di essere ascoltata e il successo dell’operazione si basò proprio sulla decisione di rimettere le decisioni-chiave alla volontà popolare.
Vediamone le tappe. A Settembre del 2008 si nazionalizza la più importante banca islandese, la Glitnir.Subito dopo crolla la moneta e la Borsa chiude. E’ ufficiale, il Paese è in bancarotta. A gennaio 2009 le proteste dei cittadini di fronte al parlamento provocano le dimissioni del prim ministro e del governo socialdemocratico.Si va alle elezioni anticipate, la situazione economica resta precaria. La popolazione scende in piazza e chiede un referendum contro il risarcimento del debito nei confronti di Gran Bretagna e Olanda che avevano congelato tutti i fondi di due banche islandesi che opeavano in questi paesi. Il risarcimento avrebbe comportato il pagamento di circa 4 miliardi i euro,un debito che avrebbe gravato su ogni famiglia per la durata di 15 anni, con un tasso di interesse del 5,5 per cento. I NO al pagamento vincono col 93 per cento dei voti.
A febbraio 2011 il Presidente indice un nuovo referendum per il pagamento del debito alle banche internazionali. I NO vincono con una maggioranza schiacciante. Vegono emessi i primi mandati di arresto per diversi banchieri e membri dell’esecutivo per le responsabilità civili e penali di avere causato la crisi. Tutti i banchieri implicati abbandonano l’isola.
Viene eletta un’assemblea costituente per redigere una nuova Costituzione. Il popolo sovrano elegge 25 cittadini, liberi da affiliazione politica, tra i 522 candidati, col vincolo di non avere tessere di partito, essere maggiorenni e disporre delle firme di almeno 32 sostenitori
La nuova Assemlea costituente a febbraio redige un progetto chiamato Magna Charta in cui confluiscono la maggior parte delle <<linee guida>> delle diverse assemblee popolari.
Il governo ha diviso le banche deficitarie in due tipologie : quelle straniere, dove sono confluiti i debiti esteri, che hanno dichiarato bancarotta e negoziato la ristrutturazione del debito; e quella nazionale che invece è rimasta in piedi. Così, nonostante il sistema bancario si sia ridotto dell’80 per cento, la popolazione ha avuto accesso ai propri risparmi e al credito. Contemporaneamente ha negoziato con i reditori stranieri la ristrutturazione del debito, accollandolo alle nuove banche, nelle quali gli stessi creditori hanno investito, perché era convincente.
Oggi, grazie alla ristrutturazione del debito, il governo islandese è solvente e possiede un livello di indebitamento vicino alla media europea, cioè tra l’80 e il 90 per cento.
L’Islanda è una nazione microscopica: 320.000 abitanti. Ma questo modello può essere esteso anche a nazioni più grandi.
Ben diversamente è andata all’Irlanda il cui governo garantì tutti i debiti delle banche nazionali, trasformando i soldi dei contribuenti in beni collaterali, con l’approvazione delle agenzie di certificazione internazionali, della UE e del FMI, col risultato che si verrà a trovare nella stessa situazione della Grecia e del Portogallo. Intanto Moody’s ha abbassato il rating dell’Irlanda e livello di junk, spazzatura.
L’Islanda ha ammessomla vera natura della crisi : l’insolvenza, chev ha il vantaggio di garantire alle èlite quei privilegi a cu non vogliono rinunciare. La popolazione islandese non ha accettato che quello che oggi neppure gli esclusi d’Europa non vogliono accettare : che i sacrifici vengano imposti dall’alto, senza consultarli e per salvareprima di tutto i responsabili di questo disastro per noi : le èlite.
La rivoluzione francese ci ha insegnato che il popolo è sovrano, perché solo il popolo può fare gli interessi del popolo.. Oggi la sua voce è quella degli Indignati, dei nostri figli e nipoti. 
 

L’ARGENTINA : UN MODO DIVERSO DI USCIRE DALLA CRISI

Le prove generali delle rivolte arabe, mediorientali ed europee sono avvenute in Sud America dieci anni fa, col rifiuto della privatizzazione dei beni dello Stato e la riduzione della spesa pubblica. Oggi l’economia del debito sovrano  decide le funzioni dello Stato e le sorti delle nazioni, strangolandone le popolazioni. Il credo neoliberista  rafforza e cementa il potere delle èlite, che diventano caste, l’un per cento della popolazione mondiale intasca più della metà della ricchezza prodotta e produce solo crisi sia a livello economico che sociale.
Da vent’anni si ripetono le prove della crisi del debito sovrano: nel ’94-95 è la volta del Messico, nel ’98 tocca alla Russia, nel ’97-98 ai Paesi asiatici, dopo il crollo dell’Argentina va in fallimento l’Ecuador fino alla crisi che investe i Paesi europei dopo il 2007.
I grandi burattinai occidentali sono coloro che controllano i media come Murdoch o i signori dei capitali come Goldman sachs, J.P. Morgan o chi gestisce le grandi banche.
I laboratori  dove si sperimenta  la struttura politica, economica e sociale del villaggio globale futuro non si trovano a Bruxelles o a Wall Street o a Washington, ma nelle piazze e nelle strade delle nazioni vittime  del modello neoliberista occidentale.
L’Argentina inizia la sua modernizzazione durante la Guerra Fredda; per dieci anni si sussegue una insurrezione permanente di ampi settori della popolazione contro dittature e falsi governi democratici, ma tutte le proteste sfocianoinregimi che aderiscono incondizionatamente  all’agenda economica promossa dal << consenso di Washington>> che poggia sulla centralità degl USA, la maggiore potenza mondiale.
Il colpo di Stato contro Isabel Peron del 1976, al seguito delle rivolte popolari contro l’introduzione delle prime riforme neoliberiste, porta al governo i militari che però proseguono sulla stessa strada e per questo, negli anni ’90 piovono le lodi per la democratica Argentina di Menem che ha fatto proprie le misure del FMI, della Banca mondiale e di tutte le organizzazioni economiche internazionali : deregulation dei mercati e apertura alla speculazione; privatizzazione selvaggia dei servizi pubblici e dei beni cmuni; abbattimento della spesa sociale e saccheggio delle risorse naturali; sotto-occupazione; flessibilità e precarizzazione della forza lavoro.
L’opposizione nazionale cresce nelle aree più colpite da uesto modello, le campagne, la piccola impresa e gli intellettuali disoccupati; non poggia su un movimento politico, non ha un leader, ma è spontanea e orizzontale.Gli argentini vogliono farla finita  col neoliberismo imposto dalla governance internazionale.
Nel 2011 la tragedia argentina apre gli occhi a tutto un continente e la popolazione insorge in Frugai, Perù e Paraguai e danno vita a modelli economici misti, dove il neoliberismo si fonde con alcuni elementi del vecchio Welfare State. Vediamone le tappe.
La crisi argentina nasce nei primi anni novanta quando il governo aggancia la moneta nazionale al dollaro, che offre stabilità agli investimenti finanziari esteri, perché rimuove il rischio svalutazione e l’Argentina diventa la nuova Mecca della finanza globalizzata; Goldman Sachs la presenta come il modello dell’economia emergente, per l’America Latina e i Paesi in via di sviluppo.L’agancio del peso al dollaro però comporta che il governo può stampare moneta solo se possiede l’equivalente in dollari, non può inflazionare l’economia né svalutare e tutti e deficit fiscali devono essere coperti indebitandosi sul mercato dei capitali.
A monte c’è l’indebitamento eccessivo, fuori controllo, dovuto alla finanziarizzazione dell’economia; il governo privatizza le pensioni, nascono i fondi pensione gestiti di fatto da i banchieri di Wall Street; le grandi banche d’affari intascano laute commissioni; gli acquirenti erano i fondi pensione e i fondi comuni europei, che risentiranno di più della bancarotta argentina.
I rapportidegli analisti delle stesse banche, dicevano che l’economia argentina cresceva e nonj c’erano rischi e idem per le agenzie di rating.
Gli stessi conflitti d’interesse hanno portato la Enron e la WorldCom in bancarotta rispettivamente nel 2001 e 2002, ma mentre il crollo di queste società ha colpito 400.000 azionisti, nel caso dell’Argentina si tratta dell’allora seconda economia sudamericana.
Col nuovo sistema lo Stato si trova a corto di soldi perché i fondi pensione ancora non producono un reddito, per cui emette buoni del Tesoro che le banche sottoscrivono e piazzano. Lo Stato argentino viene incoraggiato a indebitarsi perché chiunque aveva in portafoglio il debito ci guadagnava perché la bolla si stava gonfiando.Con la crisi dei mercati asiaticie del rublo le vobbligazioni argentine diventano le uniche <<sicure>> perché provenienti da un mercato emergente, con rating positivo. E’ il colpo di grazia, l’impennata degli acquisti fa scoppiare la bolla.
La spesa per le pensioni rappresenta il 70 per cento del deficit dello Stato; la cattiva gestione e l’eccessivo indebitamento fanno crescere il defit di bilancio che passa dal 29 per cento nel 1993 al 41 per cento nel 1998. Alla fine accedere a servizi basilari , come telefono ed elettricità, al cittadino costa dieci volte di più che in passato per cui le famiglie si indebitano, visto che il credito è a buon mercato e alla portata di tutti. Così all’indebitamento dello Stato si smma quello privato.Una storia che si ripete in Europa.Sulla carta le cose vanno benone, con un nrating eccezionale e l’economia , grazie al tasso fisso col dollaro, cresce a ritmi svenuti.
Ma si tratta di un miraggio finanziario, la realtà è molto diversa. Il crac argentino è frutto di un’infezione che arriva dal crollo dei mercati asiatici; improvvisamente i capitali stranieri vengono rimpatriati perché è tempo di portare a casa i guadagni; diventa difficile finanziare il debito a tassi nojn proibitivi, rallenta la crescita a seguito della crisi economica nel vicino Brasile, un’economia intimamente legata a quella argentina nel 1999, si contrae il gettito fiscale, lo Stato non riesce a pagare il debito, con conseguente crollo dei mercati, peggioramento della recessione e così via in una spirale viziosa L’FMI interviene con un prestito di 14 miliardi di dollari che non bastano, il tasso di interesse per piazzare le obbligazioni sale al 10,5 per cento, troppo alto per essere sostenuto.
Wall Street interviene con un consorzio di banche e finanziarie con un debt swap che allunga il periodo di vita del debito, ne dilaziona i pagamenti, in cambio della crescita dei tassi d’interesse e le commissioni che ammontano a 100 milioni di dollari.Nel dicembre 2011 arriva la bancarotta, un crollo simile a quello dl ’29. In pochi giorni il peso si svaluta del 70 per cento, il Pil si contrae del 20 per cento, la disoccupazione sale del 60 per cento, salari e pensioni non vengono più pagati, la gente assalta le banche e saccheggia i supermercati.
L bancarotta argentina diventa il più grande crack del debito sovrano nella storia dell’economia : 141 miliardi di dollari in obbligazioni. Eppure sono appena una frazione dei 1800 miliardi di euro del debito pubblico italiano nel 2011.Cinque presidenti si avvicendano in due settimane. Si verifica un potente contagio insurrezionale. Alla rivolta argentina seguono quella boliviana(2003) e quella ecuadoregna (2005) e innesca un processo che arriva in America Centrale fino al Nicaragua e all’Honduras e porta al potere governi di centrosinistra da Lula a Evo Morales.
Il passaggio dal governo ( neoliberista) alla governance ( post-neo-liberista) ha in America Latina uno dei suoi banchi di prova più strategici : Brasile, Argentina, Perù sono laboratori del futuro ? Qui si sperimentano nuove politiche anti-crisi, non certo con tagli e disinvestimenti ma al contrario estendendo la spesa sociale; un ritorno alle teorie keinesiane con un pizzico di marxismo.